Storie Web venerdì, Febbraio 7
Notiziario

Ben 312 anziani ogni 100 giovani. È quello che potrebbe accadere nel nostro Paese tra poco più di 50 anni, nel 2080, secondo una delle stime contenute nel recente aggiornamento del rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico. Che sono state elaborate sulla base delle previsioni demografiche dell’Istat con base 2023. Un dato che da solo misura l’evoluzione quasi parallela dei rischi di restringimento del bacino domestico collegato al mercato del lavoro e di quelli riguardanti la sostenibilità del sistema previdenziale. Non a caso nella versione originaria del report della Rgs, quella dello scorso anno, si afferma che «la generazione del baby boom conseguirà nei prossimi dieci/quindici anni i requisiti per l’accesso al pensionamento, generando un’accelerazione della riduzione della popolazione in età di lavoro già a partire dal 2030 e un aumento dell’indice di dipendenza degli anziani senza precedenti per rapidità ed intensità di crescita».

Boom di pensionati over 70

Un indice di dipendenza che di fatto misura il carico sociale ed economico teorico della popolazione anziana su quella in età attiva e che, sempre partendo dallo scenario base dell’Istat, dovrebbe salire (rispetto alla fascia compresa tra i 20 e i 64 anni) a quota 61,2% già nel 2040, e al 71,7% nel 2080: era al 41% nel 2023. Anche perché la speranza di vita è destinata a lievitare nel 2040 a 83,2 anni per gli uomini e a 86,9 per le donne (dai 79,3 e 84,3 anni del 2010), per arrivare, rispettivamente, a 85,8 e 89,2 nel 2070. E, allo stesso tempo, il numero dei pensionati “over 70” dovrebbe salire dai 15,7 milioni del 2010 ai 17,2 milioni del 2040. Con un rapporto tra il numero di pensioni e di occupati che dieci anni più tardi (nel 2050) si dovrebbe avvicinare di molto, secondo le indicazioni della Rgs, al fatidico “1 a 1”: quello al momento ipotizzato è del 95,5% (era dell’86,2% nel 2010 e dell’81,6% nel 2020). Ed è chiaro che con questo fardello un eventuale, significativo restringimento del bacino del mercato del lavoro non riuscirebbe a garantire le entrate contributive necessarie per puntellare il sistema pensionistico, a meno di non favorire un flusso migratorio “netto” più marcato di quello stimato nell’attuale schema previsionale della Ragioneria: in media poco meno di 180 mila unità l’anno (176 mila se riferite al 2080), con un profilo decrescente fino al 2037.

Quello del flusso di versamenti, insieme alle soglie di pensionamento e alla “generosità” delle prestazioni, è insomma uno snodo chiave per mantenere l’impalcatura previdenziale in equilibrio. Lo stesso presidente dell’Inps, Gabriele Fava, ha a più riprese evidenziato che la rotta della sostenibilità futura passa anche per un incremento delle entrate contributive.

Il ruolo dell’invecchiamento della popolazione

Un concetto sostanzialmente ribadito anche in un recente dossier del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps sulla natura delle entrate e delle uscite dell’Istituto, in cui si osserva che per ora il sistema pensionistico tiene senza troppi problemi, ma in futuro uno squilibrio potrebbe derivare dalla generosità dei trattamenti ma anche «dall’invecchiamento demografico per cui si registra un aumento delle prestazioni pensionistiche da pagare non controbilanciato da un aumento della contribuzione». E proprio l’invecchiamento della popolazione, «che si associa ad un aumento dell’età mediana, un calo della fecondità e una riduzione della popolazione in età lavorativa, è attualmente – sottolinea il Civ Inps – fattore di rischio per la sostenibilità dei sistemi pensionistici di tutta l’Ue». E a questo proposito nel dossier si fa notare che, sulla base delle previsioni Eurostat, a compensare l’effetto della riduzione del tasso di fecondità, destinato a scendere a 1,62 figli per donna nel 2070, ben al di sotto della soglia di sostituzione di 2,1 figli, e dell’aumento della speranza di vita non saranno sufficienti i flussi migratori. Per questo motivo, si sottolinea nel dossier, «la previsione è di un forte aumento del tasso di dipendenza, ovvero del rapporto tra soggetti con più di 64 anni e soggetti con un’età compresa tra i 20 e i 64 anni».

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