Per quanto riguarda la comprensione dello strumento dell’intelligenza artificiale l’Italia si trova a far fronte a un evidente divario culturale e informativo rispetto ad altri paesi. Il tutto emerge dal report FragilItalia “Intelligenza artificiale e ruolo della tecnologia”, realizzato da Area Studi Legacoop e Ipsos sulla base di un’indagine a campione effettuata su un panel di 23.216 persone di età inferiore ai 75 anni e provenienti da 30 paesi dei cinque continenti, intervistati dal 21 marzo al 5 aprile di quest’anno.
Italia penultima
Da queste interviste è venuto fuori che l’Italia risulta sotto questo aspetto, al penultimo posto (quindicesima) con il 50% delle persone consultate, e quindi una su due (800 casi di 18 anni e oltre) che ha detto di aver “una buona comprensione di cosa sia l’intelligenza artificiale” (peggio di lei fa solo il Giappone, col 41%). L’Italia ha 17 punti percentuali in meno rispetto alla media globale (67%). Ai primi tre posti della classifica troviamo invece l’Indonesia (il 91% delle persone consultate hanno detto di avere una buona comprensione di cosa sia l’intelligenza artificiale), Thailandia (79%) e Sud Africa (77%), mentre se rimaniamo alla Ue troviamo la Spagna è al 66%, Germania e Francia sono entrambe con il 59 per cento. Nella classifica dei trenta paesi, l’Italia è quindicesima; la Spagna è decima; Germania e Francia sono tredicesime. Il Regno Unito con il 64% è dodicesimo.
«Si profila con chiarezza un duplice scenario – osserva Simone Gamberini, presidente Legacoop -: da un lato, l’Italia sta vivendo una profonda trasformazione legata all’evoluzione tecnologica, che ha già cambiato radicalmente le abitudini quotidiane, il lavoro, e soprattutto l’accesso all’informazione; dall’altro, permane un significativo ritardo culturale e informativo verso l’intelligenza artificiale, rispetto ad altri Paesi».
Per l’Italia va meglio, in termini relativi, per quanto riguarda la conoscenza di prodotti e servizi che utilizzano l’intelligenza artificiale, appannaggio del 46% degli italiani, che si collocano a metà classifica, con una differenza di soli 6 punti rispetto alla media (52%) e per la convinzione che questi prodotti e servizi presentino più vantaggi che svantaggi, espressa dal 53% degli italiani, con soli tre punti di differenza dalla media globale (56%). Prevale di poco la percentuale di chi si dichiara di essere entusiasmato dai prodotti e servizi che utilizzano l’IA (il 49%, 3 punti in meno della media) rispetto a quella di chi invece li percepisce come fonte di ansia (il 44%, 9 punti in meno della media).
Lo sguardo verso il futuro: tra opportunità e timori
Interrogati sulle tecnologie emergenti che avranno il maggior impatto nei prossimi anni, gli italiani non hanno dubbi: l’intelligenza artificiale è al primo posto (75%, e 81% tra i laureati). Seguono, a notevole distanza, la robotica e l’automazione (39%; e 46% tra gli over 64 e il ceto popolare), le energie rinnovabili e le tecnologie sostenibili (38%, e 44% nel Nord Ovest), le biotecnologie e l’ingegneria genetica (31%). Ma questa trasformazione non è vista solo in chiave positiva. Prevalgono, anzi, visioni piuttosto pessimistiche: secondo molti italiani, le nuove tecnologie porteranno a una maggiore dipendenza, a una compromissione della privacy e a un profondo cambiamento del mondo del lavoro. Lo spettro della disoccupazione tecnologica e l’erosione della sfera personale sono percepiti come rischi reali. Al primo posto, tra le preoccupazioni, l’aumento della dipendenza dalla tecnologia (40%, ma 50% al Centro Italia), la compromissione della privacy (33%; 40% tra le donne e al Nord Est), le radicali trasformazioni del modo di lavorare (30%), la perdita di posti di lavoro e l’aumento dei disoccupati (23%; 34% nel ceto popolare), la concentrazione del potere nelle mani di pochi e ricchi (22%).