Il web, invece, rallenta. I siti di quotidiani e testate radiotelevisive faticano, mentre crescono timidamente le testate digitali e i giornalisti indipendenti. I social? In discesa, specie Facebook, sempre meno utilizzato dagli under 35 per informarsi. A salire, invece, sono Instagram e TikTok, dove l’informazione si fa breve, visuale e, spesso, borderline.
Altro elemento di rilievo: gli italiani consultano le notizie con frequenza, ma in modalità sempre più indirette. Cresce l’accesso tramite motori di ricerca, social network e aggregatori, mentre cala quello diretto a siti e app delle testate. È il riflesso di un consumo informativo più “distribuito” e meno lineare, ma non per questo meno significativo. Anche qui, la scelta della fonte – quando riconoscibile – resta centrale.
Gli «Oscar» dell’attendibilità
A guidare la classifica della fiducia nei brand editoriali ci sono tre realtà. In cima, l’Ansa, l’agenzia di stampa nazionale; seguono SkyTg24 e Il Sole 24 Ore, il quotidiano economico-finanziario che consolida una reputazione costruita su analisi autorevoli e scrittura tecnica, ma accessibile. Sono tutte e tre viste come testate capaci di intercettare il bisogno di informazione professionale e affidabile, soprattutto in una fase storica in cui cresce il rumore e si moltiplicano le fonti.
Un dato interessante emerge proprio in questo senso: gli influencer sono considerati, insieme ai politici, la principale fonte di disinformazione. Lo pensa il 42% degli italiani. Una percentuale che supera di gran lunga quella riferita ai giornalisti, indicati dal 28% come possibili veicoli di notizie false. È un segnale importante: non siamo davanti a una sfiducia generalizzata, ma selettiva. Gli utenti discriminano. Valutano. E scelgono chi seguire.
L’alfabetizzazione che non decolla
Il report lancia comunque un allarme chiaro: l’Italia non è pronta alla sfida dell’infodemia. Solo il 17% degli italiani ha mai partecipato a iniziative di alfabetizzazione mediatica. Troppo poco per un Paese dove il 54% si dice preoccupato per la disinformazione online e dove, paradossalmente, come detto il 28% considera anche i giornalisti potenziali diffusori di fake news, più della “gente comune”.