Storie Web giovedì, Ottobre 16
Notiziario

“La tecnologia personale spesso è più semplice e intuitiva di quella aziendale, quindi le persone continuano a usare strumenti esterni anche per lavoro” – racconta Buganza – “Ma questo è un rischio enorme: significa immettere dati sensibili in sistemi pubblici. Un caso eclatante è quello di una società farmaceutica americana che ha caricato documenti riservati su Gemini e se li è trovati indicizzati su Google”.

Secondo Daniel Trabucchi, per evitare questo pericolo è necessario un attento lavoro di formazione: “La parola chiave è consapevolezza. Le aziende devono spiegare ai dipendenti cosa si può fare e cosa no, e nel contempo offrire strumenti sperimentali e user-friendly. Una combinazione di soluzioni proprietarie e strumenti aperti con delle garanzie può funzionare bene”.

Per ottenere il massimo da questa tecnologia bisogna passare da un approccio “co-pilot”, che utilizza l’IA come assistente per aumentare la produttività, al “co-thinking”, che vede l’AI come partner nel processo cognitivo.

“Molte aziende pianificano tutto in anticipo e affrontano la questione in modo top down, con pochi progetti pilota e gruppi di lavoro ristretti, ma il mondo dell’IA cambia ogni settimana. Serve un approccio più agile che permetta ai dipendenti di sperimentare: questa è una tecnologia anche sociale che cambia il modo in cui le persone lavorano e pensano”, conclude Buganza.

Mentre prosegue il dibattito tra chi annuncia la fine dell’hype per l’intelligenza artificiale e chi continua a sostenerla, l’osservatorio del Politecnico porta avanti la ricerca sulle potenzialità dell’IA, inserendola in un quadro più ampio di innovazione attraverso il platform thinking. “Quando si introducono trasformazioni profonde, i risultati non arrivano subito”, sottilineano i direttori del progetto.

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