Il governo Meloni ha deciso che non si presenterà al question time di domani, in cui il ministro Nordio avrebbe dovuto rispondere a due domande sul caso Paragon. È una mossa senza precedenti. L’esecutivo si è appellato al regolamento della Camera, ma le opposizioni protestano: “È un precedente gravissimo”.
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Il governo Meloni si tira indietro e non risponde sul caso Paragon. La vicenda è quella dello spionaggio effettuato con il software di un’azienda israeliana, che ha colpito il direttore di Fanpage.it e diversi attivisti in Italia. Finora il governo aveva dato risposte vaghe, e le opposizioni domani avrebbero dovuto fare alcune domande al question time per cercare di capire chi, in Italia, poteva usare quel software. In particolare le domande riguardavano la Polizia penitenziaria, l’unico corpo da cui non sono arrivate smentite. Eppure il governo, con una mossa senza precedenti, ha deciso che non si presenterà all’interrogazione parlamentare, suscitando l’ira delle opposizioni.
Perché il governo Meloni ha deciso di non rispondere sul caso Paragon
È stato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, a comunicarlo ai deputati interessati con una lettera che Fanpage.it ha potuto visionare. Qui si spiega che il governo Meloni, tramite il sottosegretario Alfredo Mantovano (che ha la delega ai servizi segreti) ha scritto proprio a Fontana, dicendo che sul caso Paragon sono già state date “le uniche informazioni pubblicamente divulgabili” nel corso dell’ultima interrogazione sul tema.
Ogni altro aspetto della vicenda, ha scritto Mantovano, “deve intendersi classificato“, ovvero coperto da segreto di Stato. E per questo il governo non risponderà più in Aula. Ma solamente davanti al Copasir, cioè il comitato parlamentare che cura i rapporti con i servizi segreti.
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Il governo ha fatto appello al regolamento della Camera, e in particolare al primo comma dell’articolo 131, che recita:
Il governo può dichiarare di non poter rispondere indicandone il motivo. Se dichiara di dover differire la risposta, precisa in quale giorno, entro il termine di un mese, è disposto a rispondere.
Insomma, l’esecutivo avrebbe la possibilità di non presentarsi a rispondere semplicemente indicando la motivazione. E in questo caso il motivo sarebbe semplicemente che tutte le informazioni sul caso sono “classificate”. Una spiegazione che di fatto chiuderebbe la vicenda, perché renderebbe impossibile chiedere ulteriori informazioni al governo. E che infatti non è stata accettata dalle opposizioni.
Gli attacchi delle opposizioni: “Mossa grave e senza precedenti”
Davide Faraone, di Italia viva, parlando alla Camera si è detto “parecchio sorpreso” sia per la mossa del governo, sia perché il presidente della Camera Fontana l’ha accettata. “È una cosa paradossale. “Il governo non aveva messo il segreto di Stato quando a rispondere sul caso Paragon era stata l’intelligence, e invece adesso, che non può essere messo, si sveglia e dice che mette il segreto”. Sembrano, ha aggiunto, “quelli colti con la mano nella marmellata. Perché se non ci rispondono solamente su quei due lì, significa che quelli hanno usato Paragon“.
La sua collega di partito, Maria Elena Boschi, ha detto che “fin qui la responsabilità è stata del governo” ma da oggi se “passa il principio che il governo può decidere quando venire o meno a riferire in Parlamento”, la colpa sarà anche del presidente della Camera che “avalla questa interpretazione”. I cittadini, ha concluso Boschi, “hanno hanno il diritto di sapere se il governo italiano sta spiando dei giornalisti e degli attivisti politici che sono avversari di questo governo”.
Per il Pd è intervenuto Federico Fornaro, che ha chiarito: “Noi chiedevamo una cosa molto semplice, cioè se la polizia penitenziaria avesse mai usato Graphite o software simili, e se nel caso fossero note al ministro delle violazioni”. Se la risposta “era no, non vedo che segreto ci potesse essere. Se avesse detto sì, avrebbe potuto appellarsi al Copasir”. Ma farlo prima di dare la risposta “è inaccettabile. È un precedente gravissimo“.
Francesco Silvestri, del Movimento 5 stelle, ha affermato: “È la prima volta che vedo un governo mettere un segreto di Stato in un modo talmente stupido che, facendolo, desta più sospetti”, e ha chiesto che il presidente Fontana “difenda la dignità di queste Aule“. Benedetto della Vedova (+Europa) ha attaccato: “La situazione è totalmente fuori controllo, il governo deve rispondere e farlo in Aula”.
Marco Grimaldi (Avs) ha insistito: “Non si sfugge dalle domande politiche. È di una gravità inaudita. Altro che segreto di Stato: vogliamo risposte. Visto che la presidente del Consiglio è la presidente che meno è venuto in Aula a rispondere al question time, venga la prossima settimana, dia la possibilità ai tutti i gruppi di discutere”. Nicola Fratoianni, deputato di Avs, ha poi aggiunto con una nota: “Non è tollerabile. È come dire che il governo è libero anche per il futuro di violare la privacy di chiunque senza dover spiegare le ragioni dell’accaduto e senza doverne rendere conto ai cittadini e all’opinione pubblica”.