Ad una manciata d’ore dall’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha certificato i dazi al 15% l’Europa comincia a fare i conti e, sull’opportunità dell’accordo siglato da Ursula von der Leyen, non smette di essere divisa. Le cose potrebbero migliorare una volta che la dichiarazione congiunta Ue-Usa sarà ultimata. Il problema è che non si sa se e quando succederà. E cresce, a Bruxelles, il timore di navigare a vista fino a settembre, lasciando così nel limbo tre settori cruciali come quello dei farmaci, delle auto e dei chip.
Controdazi sospesi
La campanella della pausa estiva è stata più che mai tempestiva per Ursula von der Leyen. Da lunedì il Palais Berlaymont lavorerà a ranghi ridotti, tra i commissari in presenza ci sarà la delegata al Mediterraneo Dubravka Suica. Le attività, però, non saranno interrotte. Il Comitato barriere doganali, presumibilmente lunedì, dovrà formalizzare la sospensione del listone di controtariffe da 93 miliardi. La decisione, entro i 14 giorni successivi, andrà ratificata in procedura scritta dai 27 Paesi. Salvo cambiamenti dell’ultim’ora, la Commissione dovrebbe procedere ad una sospensione di 6 mesi dei controdazi e non ad una loro archiviazione.
Malumori europei
E tra le cancellerie europee c’è chi crede che perfino il congelamento sia una concessione eccessiva agli Usa. Basti pensare che l’elenco include i dazi da 21 miliardi che l’Ue aveva preparato in risposta alle tariffe al 50% inflitte da Trump sui acciaio e alluminio. Tariffe che l’ordine esecutivo della Casa Bianca non ha eliminato. La trattativa sarà serrata sulle esenzioni per i prodotti strategici. In teoria il negoziato sulle eccezioni al 15% dovrebbe – teoricamente – concludersi entro il 7 agosto, quando l’ordine esecutivo di Trump entrerà in vigore.
Caccia allo sconto
Dai liquori agli aerei, dai dispositivi medici ad una serie di beni alimentari: sono tanti i comparti nel vecchio Continente che sperano di incassare uno sconto o l’azzeramento delle tariffe. «Bisogna lavorare perché dal quadro generale che prevede dazi al 15% si scenda poi nei dettagli. È lì che dovremmo difendere con le unghie e con i denti i prodotti italiani», ha sottolineato il ministro degli Esteri Antonio Tajani parlando agli Stati Generali del Meridione di FI. Secondo una stima della Cgia l’applicazione dell’aliquota al 15% dovrebbe causare all’Italia un danno, almeno nel breve termine, tra i 14 e i 15 miliardi di euro all’anno. Un importo che, in linea di massima, corrisponde al costo per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina.
Il rischio per von der Leyen
Ma i conti non li fanno solo in Italia. Lunedì il ministro delle Finanze tedesco Lars Klingbeil vedrà a Washington il segretario al Tesoro Scott Bessent. Sul tavolo, ca va sans dire, ci sarà il dossier dei rapporti commerciali transatlantici. Il rischio, per von der Leyen, è che in qualche modo i singoli Paesi membri comincino a muoversi in ordine sparso, insoddisfatti della tutela garantita dalla Commissione. Un rischio che aumenta se si guarda agli oltre 1.300 miliardi (dei quali 750 nel settore energetico) che l’Ue ha promesso a Trump. Molti Paesi non vogliono il soggiogamento al Gnl a stelle strisce. A settembre si aprirà inoltre un altro capitolo: quello degli eventuali ristori. Giorgia Meloni già li ha evocati ma, in Ue, non sono molte le capitali che concordano. E a Bruxelles c’è chi pensa che sia controproducente per i consumatori. Toccherà a von der Leyen spegnere i malumori. Ma il suo autunno, a Bruxelles ne sono già certi, sarà caldissimo.