«Rischiamo di vanificare 50 milioni di investimenti. Certamente dovremo rivedere tutta la nostra strategia e cambiare i piani di espansione all’estero». Fabio Giulianelli, amministratore delegato di Lube, l’azienda marchigiana tra i leader delle cucine, non riesce a darsi una spiegazione razionale per tutto quello che sta succedendo. «Le misure di Trump, i dazi, non hanno alcun fondamento economico e commerciale. Non c’è un motivo valido per cui si debba iniziare una guerra commerciale di queste proporzioni che andrà a impattare in maniera pesante sull’economia globale».
Lube ha chiuso il 2024 con un fatturato stabile a 285 milioni. L’89% dei ricavi sono stati generati in Italia, l’11% all’estero. La quota degli Stati Uniti è stata minima, quasi irrilevante sul fatturato complessivo. A novembre scorso è stato inaugurato il primo store a Miami che si aggiunge ai monomarca di New York, San Francisco e Los Angeles. Una presenza non massiccia (i punti vendita Lube nel mondo sono 650). Dunque, un danno apparentemente limitato.
«Non sarà così», spiega Giulianelli, «per una serie di motivi. Prima di tutto, questa politica di Trump avrà conseguenze indirette su tutte le aziende. Si sta creando un clima di ostilità nei confronti dell’Europa che non produrrà niente di buono. Ci sarà caos sui mercati ancora a lungo, con un rallentamento generalizzato della crescita e un aumento dei prezzi. Ci sarà un inevitabile calo della domanda che pagheremo tutti, in tutto il mondo».
Poi ci sono le conseguenze dirette su Lube e su molte imprese nella medesima condizione. «Abbiamo avviato un’espansione dello stabilimento di Treia, in provincia di Macerata, finalizzata ad aumentare la nostra quota di esportazioni. Un investimento di 44 milioni avviato anche grazie ai fondi del Pnrr, che dobbiamo ultimare entro il 2026. Non possiamo fermarci, altrimenti perdiamo i finanziamenti. Ma rischiamo di arrivare ad avere la massima capacità produttiva della nostra storia in un momento di caos e rallentamento della domanda sui mercati globali».
Gli interventi prevedono investimenti sul processo produttivo, 27 milioni in nuovi macchinari con linee completamente automatizzate, e l’assunzione di 60 addetti entro il 2026. Gli Stati Uniti erano, e sono, una delle mete più importanti di questa politica di espansione all’estero.