Storie Web domenica, Luglio 7
Notiziario

L’ambizione del Piano Mattei, una delle politiche clou per il governo di Giorgia Meloni, è di «cambiare il paradigma» dei rapporti con i Paesi africani. In teoria la collaborazione dovrebbe estendersi su cinque pilastri di istruzione, sanità, agricoltura, acqua ed energia. Nei fatti, non è un mistero che l’attenzione e le iniziative siglate si concentrino soprattutto sull’ultima voce: i rifornimenti energetici, un’esigenza diventata sempre più prioritaria dopo la cesura dei rapporti con la Russia di Vladimir Putin e ricerca di partner estranei al vecchio asse con Mosca.

La scelta italiana è tutt’altro che isolata. Gli strascichi del conflitto in Ucraina e l’urgenza di forniture sempre maggiori e differenziate hanno alimentato una corsa agli accordi fra Paesi Ue e governi africani, in un ventaglio di interlocutori e linee produttive che va dal gas importato dalla Libia in Italia agli investimenti di Germania o Paesi Bassi sul potenziale dell’idrogeno verde offerto da Paesi come Sudafrica e Namibia nell’Africa australe o Mauritania in qualla occidentale. Il tutto mentre gli stessi vertici comunitari tentano di rinsaldare i legami fra Unione europea e Unione africana, sempre sull’impronta di un rapporto «paritario» che si regge sul Global gateway: il maxi-piano di risposta alla Via della seta cinese, la Belt and Road initiative, con un pacchetto di 150 dei 300 miliardi di euro complessivi destinati alla sola Africa.

Dall’Italia alla Germania, la corsa all’energia delle Afriche

Frans Timmermans, all’epoca vicepresidente della Commissione europea, aveva indicato l’Africa come «probabilmente» il più grande partner energetico per la Ue. Timmermans si riferiva al solo segmento delle rinnovabili, ma lo scenario sembra valere anche – o soprattutto – per gli idrocarburi. Una delle teste di ponte è proprio l’Italia, anche da prima dell’avvento governativo della maggioranza di destra di Meloni. Lo strappo con la Russia di Putin, fornitore energetico cruciale per Roma, ha dato il la a una serie di missioni diplomatiche guidate prima dal tandem fra l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’amministratore delegato del gruppo Eni Claudio Descalzi e poi da rappresentanti dell’esecutivo Meloni.

Gli esiti sono tangibili: a inizio 2024, il «71% delle importazioni italiane dal continente africano sono rappresentate da prodotti energetici e l’Africa nel 2023 è stato il primo partner energetico dell’Italia» si legge in una nota di Ecco, un think tank italiano. Il flusso si è irrobustito con lo scoppio della guerra in Ucraina e, appunto, la ricerca di una nuovi Paesi fornitori. Secondo le stime dell’European council of foreign relations (Ecfr), un centro studi, l’Italia ha siglato 21 accordi bilaterali solo fra il marzo 2022 e l’ottobre 2023. Quelli stretti con omologhi africani sono 12, divisi fra Benin, Egitto, Repubblica democratica del Congo, Mozambico (un accordo ciascuno), Angola (due). Algeria e Libia (tre ciascuno, inclusa la maxi-intese da 8 miliardi di dollari con Tripoli). In otto casi si parla di intese sul gas naturale, anche alcuni accordi prevedono una qualche componente di «energia pulita» nella struttura.

Anche altri Paesi europei si stanno muovendo sulla traiettoria consacrata da Timmermans, con circa 35 accordi siglati in Africa sui 180 censiti dall’Ecfr dal 2022 a oggi. L’interesse più visibile – o dichiarato – degli altri governi comunitari è sull’idrogeno e l’energia verde in generale. La Germania di Olaf Scholz ha annunciato l’equivalente di 4 miliardi di euro in investimenti in «energia verde», oltre ad essersi assicurata accordi specifici come un accordo sull’idrogeno con il Sudafrica e o un «patto» da 500 milioni di euro sulle rinnovabili con la Nigeria, un colosso noto più che altro per la sua produzione di greggio. I Paesi Bassi hanno sottoscritto un accordo intergovernamentale con il Sudafrica, sempre sul fronte dello sviluppo dell’industria dell’idrogeno.

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