Storie Web giovedì, Ottobre 16
Notiziario

Idee embrionali di nuove tecnologie all’avanguardia per l’agroalimentare. Arrivano già da tutta Italia. A candidarsi, per accedere al percorso intensivo di formazione, mentorship e confronto con aziende e investitori, sono studenti, ricercatori, startupper. Ma anche atenei che hanno allevato e lanciato spin-off. «Il nostro obiettivo è quello di far uscire la ricerca dai laboratori per farla entrare direttamente in contatto con le imprese e con il mercato, superando le difficoltà che ancora ci sono nel trasferimento tecnologico alle aziende», dice Filippo Federico, ecosystem manager del Verona agrifood innovation hub (Vaih), il polo veneto nato due anni fa per disseminare innovazione e formazione nell’agroalimentare, dal campo alla tavola, cercando di stabilire sinergie tra industria e centri di ricerca. Si deve proprio a Vaih il lancio di Foodtech Incubator. E della sua prima call che resterà aperta fino al 21 ottobre. Per poi selezionare fino a 10 progetti. E contribuire a colmare gli spazi vuoti nel rapporto tra università, centri di ricerca e mondo delle imprese.

I partner: atenei, banche, acceleratori

Una scommessa che coinvolto, tra gli altri, gruppi bancari, Comune e Confindustria di Verona. Poi due realtà industriali del settore, Vason Group, colosso nel campo dei prodotti per l’enologia, e Molino Padano (farine professionali e per l’industria), che ha il proprio stabilimento produttivo a Salara, in provincia di Rovigo. Ancora: Eatable Adventures, acceleratore foodtech su scala mondiale. Perché il potenziale c’è, come ha dimostrato l’ultima edizione di Foodseed, programma di sostegno alle start up, dalla quale sono emerse nuove imprese innovative come l’emiliana Mama Science (biomateriali per il packaging alimentare), Nous Energy (Piemonte) che con Koncentra ha messo a punto l’alternativa alla caffeina che migliora le prestazioni cognitive, la veneta Asteasier (biotecnologie per la produzione sostenibile di ingredienti naturali per la mangimistica e la nutraceutica).

Troppe collaborazioni spot con le università

L’anno scorso solo poco più del 15% delle nuove tecnologie per l’agrifood è nato dalla collaborazione con una università. Mentre quasi il 77% è stato sviluppato all’interno della start up stessa. «Tutte le aziende hanno amministratori delegati che lavorano sull’innovazione ma il problema è quello di agire nell’ambito dell’open innovation – prosegue Federico – e di trovare nuovi punti di contatto tra ricerca e imprese».

Vaih sta cercando identificare tutte le esigenze delle aziende. «Abbiamo visto che le tecnologie più richieste sono quelle relative all’intelligenza artificiale, al biotech all’internet of things», spiega Federico. Una mappatura che è necessaria anche per selezionare le idee più interessanti.

I criteri che saranno utilizzati? Prima di tutto la scalabilità: vale a dire che sarà valutata la possibilità concreta di una start up innovativa di resistere e rispondere positivamente a un espansione del mercato. Poi sarà presa in esame la capacità altrettanto concreta di portare effettivo valore alla filiera. Ciò che interessa ora al polo veronese è la creazione delle condizioni per far nascere nuove imprese ad alto potenziale.

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