Storie Web venerdì, Maggio 3
Notiziario

Alla vigilia della verifica di metà percorso, qualcosa sembra essersi inceppato nella spesa italiana dei fondi strutturali europei. Lo dicono i dati del Dipartimento per le politiche di coesione (il Dpcoe, che risponde al ministro Raffaele Fitto) allegati al Documento di economia e finanza consegnato al Parlamento qualche settimana fa: al 31 dicembre 2023 risultavano attivati progetti per 4,8 miliardi di euro, meno del 6,5% degli oltre 74 miliardi complessivi del Fondo di sviluppo regionale (Fesr) e del Fondo sociale plus (Fse+) per il periodo 2021-2027. Il dato è ancora più preoccupante se si guarda alla spesa effettiva, cioè quanto di quei 4 miliardi e 800 milioni è stato finora pagato realmente: 535 milioni, lo 0,7%. E solo per merito delle regioni perché anche in questo caso i programmi gestiti dai ministeri sono fermi a zero. Tra le regioni, sono riuscite a spendere qualche decina di milioni di euro solo le più sviluppate e non tutte. «È urgente accelerare i programmi perché in Italia sono quasi bloccati» ha detto Nicola De Michelis, vicedirettore generale della Dg Politiche regionali della Commissione europea parlando martedì in un convegno a Lucca sul futuro della politica di coesione a cui avrebbe dovuto partecipare anche il ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Fitto.

Torna lo spettro del disimpegno

«Siamo al quarto anno di programmazione e resta da spendere il 99% delle risorse. È molto difficile immaginare oggi che possa essere raggiunto a fine 2025 l’obiettivo di 7 miliardi di spesa necessario ad evitare il disimpegno automatico e assicurando comunque qualità» ha aggiunto De Michelis. Significa che, fino alla fine del prossimo anno, regioni e ministeri dovrebbero spendere ogni due mesi quello che finora hanno speso in tre anni. È fisiologico che nella prima parte del periodo la spesa sia bassa. Ma a riprova che le cose – per ora – non stanno andando come ha sempre promesso il ministro Fitto, c’è il confronto con la programmazione 2014-2020 che già sin dall’inizio non aveva brillato per rapidità nell’attuazione. Nella relazione allegata al Def del 2017, quindi sempre a metà percorso, risultavano attivati al 31 gennaio progetti per 13,5 miliardi, pari al 26,1% dei 51,7 miliardi complessivi programmati.

La riforma che ancora non c’è

Se il proposito di Fitto è ancora quello di migliorare una volta per tutte la gestione inefficiente del passato – con una forte centralizzazione – il cammino da fare è ancora molto lungo e pieno di insidie. «Riteniamo giusto prevedere un forte presidio centrale per tenere il fiato sul collo alle amministrazioni. Stiamo aspettando la bozza di decreto e speriamo davvero – ha sottolineato l’alto funzionario europeo – che la proposta del governo per accelerare la spesa porti i frutti sperati». Il riferimento è alla riforma della politica di coesione nazionale che Fitto ha inserito come “milestone” nel Pnrr e che avrebbe dovuto essere approvata entro marzo. «Ci auguriamo che contenga strumenti efficaci di accelerazione» ha detto il direttore della Commissione Ue. Elisa Ferreira, la commissaria ormai al termine del suo mandato, ha ricordato che ogni paese è sovrano nell’organizzare la gestione nazionale della coesione, purché mantenga un approccio bottom-up, rispetti i principi democratici e sia organizzata in unità regionali. Al momento, però, il testo resta un’incognita dagli effetti concreti imprevedibili.

Perché l’attuazione non va avanti

Alle cause storiche che rallentano la spesa dei fondi strutturali europei in Italia, dai ritardi iniziali dei regolamenti europei alla debole capacità amministrativa di enti locali e ministeri, ai tempi biblici per le opere pubbliche (dieci anni per quelle oltre 100 milioni di euro), se ne sono aggiunte almeno altre due. La prima, prevista, è l’effetto “spiazzamento” provocato dalle sovrapposizioni con il Pnrr da 194 miliardi più i 30,6 del piano complementare: da un lato impegnano e stressano il lavoro già difficile delle amministrazioni e dall’altro portano via progetti ai fondi strutturali. La seconda, che per qualche addetto ai lavori è più rilevante, sono gli accordi per la coesione tra ministero e regioni voluti da Fitto. Da settembre a oggi ne sono stati firmati 17, tutti – a memoria – alla presenza della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dando un giusto rilievo mediatico a questa politica redistributiva. Solo ieri, però, sono stati approvati dal Cipess (si veda articolo accanto). Ora è necessaria la registrazione della Corte dei conti. E mancano all’appello Campania, Puglia e Sicilia: le tre regioni con la dote maggiore del Fondo sviluppo e coesione la cui erogazione si sblocca solo con questi accordi. Si tratta di risorse a loro volta necessarie per assicurare il cofinanziamento obbligatorio dei fondi europei. Senza le risorse del Fsc molte regioni non possono garantire il cofinanziamento e ciò ha contribuito finora a bloccare la spesa.

Presentarsi con una spesa irrisoria al confronto europeo sul nuovo bilancio comune post 2027 (già iniziato) non è un buon biglietto da visita.

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