Storie Web lunedì, Maggio 12
Notiziario

La moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni totali di gas serra nell’atmosfera. E, secondo la Ellen MacArthur Foundation, supera, da sola, quelle dell’industria marittima e dell’aviazione. Oggi l’industria del fashion si sta confrontando con condizioni economiche e commerciali complesse. Anche l’impegno dell’Unione europea sul tema della sostenibilità sta attraversando una fase di rallentamento, con l’obiettivo di ribilanciare la riduzione dell’impatto ambientale con la competitività industriale. Tra gli obiettivi che Bruxelles non ha, per ora, rimandato o rivisto, ci sono i target di decarbonizzazione: l’Europa punta ancora a essere il primo continente a emissioni zero nel 2050 e, per tagliare l’ambizioso traguardo, punta a tagliare del 55% (rispetto al 1990) le emissioni nel 2030 e arrivare a un -90% nel 2040. La sfida, dunque, è ancora in corso e le aziende del settore moda continuano a lavorare in questa direzione.

Focus sui fornitori Tier 2 ad alto impatto

Il nodo della questione è ancora una volta la filiera: secondo un recente paper di McKinsey i fornitori cosiddetti Tier 2, che potrebbero essere definiti subfornitori di primo livello, producono una percentuale tra il 45% e il 70% delle emissioni identificate come Scope 3 e cioè i gas serra che vengono emessi non dall’azienda ma dalla sua catena di fornitura. Molte aziende non hanno rapporti diretti con l’intera supply chain – al di là dei loro primi interlocutori, i fornitori Tier 1, che, solitamente, sono confezionisti – ma secondo McKinsey ridurre le emissioni prodotte dai fornitori di secondo livello avrebbe enormi ritorni, a parità di costi: la società di consulenza parla di una riduzione fino al 50% delle emissioni Tier 2 in modo quasi neutrale con un aumento dei costi di produzione limitato al +1 per cento. Per ottenere questo risultato, fornitori sarebbero chiamati a utilizzare leve tecniche di decarbonizzazione tra cui fonti energetiche rinnovabili come i pannelli solari: i fornitori Tier 2, sempre secondo McKinsey, possono ottenere risparmi sui costi fino a 250 dollari per tonnellata metrica di anidride carbonica equivalente (CO2e).

La decarbonizzazione al test dei dazi: al centro la supply chain

«La decarbonizzazione è molto sfidante – spiega Gemma D’Auria, senior partner McKinsey e leader globale del settore Apparel, Fashion and Luxury per la società, – ma focalizzarsi sul Tier 2 permette un taglio consistente delle emissioni in modo efficiente». Il periodo storico complesso, potrebbe togliere attenzione ai temi della sostenibilità, ma impone una riflessione sulla tutela della filiera: «In questi periodi di volatilità estrema si tende a pensare alla contingenza e meno al medio-lungo periodo continua D’Auria -: da qualche mese la sostenibilità è stata declassata tra le priorità, ma lasciarsi alle spalle queste sfide sarebbe rischioso, visto che l’industria è tra le più impattanti. I dazi potrebbero obbligare il settore a ripensare la filiera e, tornando al nostro lavoro sulla decarbonizzazione, a renderla più efficiente sia sul fronte dei costi sia delle emissioni». Secondo D’Auria «la prima leva importante per la decarbonizzazione è la sinergia: i brand dovrebbero agire da direttori d’orchestra, coinvolgendo tutti gli stakeholder, calcolando il rapporto tra costi e benefici a ogni livello. Dovrebbero anche costruire relazioni di lungo termine con i fornitori, che vanno formati in questo senso». Poi ci sono gli incentivi finanziari: «I fornitori più virtuosi possono essere premiati in quanto tali, magari facendo da tramite e garante con istituti bancari per far ottenere supporto finanziario ai propri supplier».

Sinergie tra brand e fornitori in crescita secondo Y-Hub

La conferma che le maggiori sinergie nell’ambito della catena di fornitura non siano solo un buon auspicio ma si stiano veramente, anche se lentamente, verificando, arriva da Francesca Rulli, co-fondatrice di Y-Hub, la holding, partecipata anche da Brunello Cucinelli e Claudio Rovere, che nel dettaglio si occupa di tracciabilità della filiera, di misurazione dell’impatto ambientale e anche di consulenza nella trasformazione sostenibile, con un focus sulle Pmi italiane, ma anche in un dialogo diretto con i grandi brand per cui queste piccole aziende producono: «Ci sono piccoli segnali: si cominciano a vedere i brand riconoscere la valutazione Esg in ottica strategica e quindi premiare i fornitori più virtuosi – dice Rulli – e poi vediamo aziende che co-investono per aiutare il fornitore a migliorare il proprio impatto ambientale».

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