Storie Web domenica, Luglio 7
Notiziario

Secondo gli exit poll, vittoria schiacciante dei laburisti alle elezioni in Regno Unito. Le indicazioni danno il Labour a 410 seggi sui 650 che compongono la Camera dei Comuni, e sanciscono il tracollo senza precedenti dei conservatori del premier uscente Rishi Sunak, affossati a quota 131. I Liberaldemocratici centristi di Ed Davey salgono da parte loro a 61, mentre l’ultradestra di Reform UK di Nigel Farage, con più voti dei LibDem ma meno concentrati tra i seggi uninominali, porta a casa 13 deputati per la prima volta. Tracollo anche degli indipendentisti scozzesi dell’Snp, che passano da 48 seggi ad appena 10, sempre a vantaggio del Labour.

Tories al minimo storico

I Tories toccano quindi il loro minimo storico: il record negativo precedente era stato raggiunto con le elezioni del 1906 quando il partito allora guidato da Arthur Balfour ottenne 156 seggi. Il partito conservatore di Rishi Sunak ha toccato anche il suo minimo storico nella quota proporzionale di voti. Si tratta quindi di una debacle senza precedenti sotto ogni aspetto per i Tories.

Si tratta di un suggello sostanziale ai pronostici unanimi d’una campagna elettorale intensa, eppure priva di suspense: sfociata nel voto di giovedì ma apparsa decisa nei suoi esiti sin dal giorno uno della convocazione a sorpresa a fine maggio delle urne da parte di Sunak, con qualche mese in anticipo sulla scadenza naturale della legislatura. Scommessa kamikaze destinata in effetti a far scoccare solo un po’ prima del tempo l’ora di un risultato scontato, figlio d’un diffuso sentimento di rigetto da fine ciclo del partito di governo più che non della capacità d’attrazione dell’offerta programmatica – prudente quanto vaga – starmeriana.

Svolta generazionale

Scenario che si traduce ad ogni buon conto in una svolta generazionale. Nella fine di quasi tre lustri di governi a guida conservatrice segnati da crisi, scossoni, scandali, lacerazioni interne e cambiamenti di leader, fra responsabilità proprie e conseguenze di terremoti internazionali; oltre che dai contraccolpi – almeno per ora largamente negativi – di quella sorta di gioco di prestigio che è stato il referendum del 2016 sul divorzio dall’Ue, sfociato nella Brexit. Una svolta consumata nel nome del ritorno alla normalità, caratteristica per ora dominante del profilo da ex procuratore della corona prestato alla politica del 61enne Starmer; e che gli elettori desiderosi d’un cambiamento vero (oltre lo slogan elettorale indistinto del ’change’) sperano non significhi normalizzazione. Ma che certo prefigura una netta cesura rispetto agli istrionismi di un Boris Johnson, il più controverso e divisivo (ma anche simbolicamente significativo) fra i 5 premier della girandola Tory di questi 14 anni.

Ampi margini per Starmer

La super maggioranza in Parlamento che i primi dati ad urne chiuse confermano fragorosamente lascia del resto margini di manovra all’uomo incaricato ora di riportare le insegne del laburismo a Downing Street dai tempi di Tony Blair e Gordon Brown. Un uomo emerso politicamente nella corrente intermedia della ’soft left’, salvo spostarsi passo dopo passo su posizioni sempre più centriste, il quale tuttavia promette di lavorare a un miglioramento più equo delle condizioni di vita della “gente comune” come antidoto alla “minaccia populista”. Sebbene escludendo di voler cavalcare i contrasti sociali o riaprire ferite come la medesima Brexit, a cui fu a suo tempo contrario, ma che adesso non intende rimettere in causa.

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