Storie Web giovedì, Maggio 16
Notiziario

Dungeons & Dragons (D&D) non è semplicemente un gioco da tavolo fantasy ma una psicoterapia di gruppo. Un pretesto per raccontare in un ambiente protetto chi siamo veramente, o chi vorremmo o anche solo come dovrebbe andare il mondo.

Quest’anno compie 50 anni e non è cambiato di una virgole. L’immaginario è sempre lo stesso: un tavolo grande, patatine, pizza, bibite gasate posizionati in ordine caotico e al centro un narratore che sa tutto e costruisce con i giocatori una trama laggiù in una terra lontana di nani, elfi e maghi e mostri. Insieme a Monopoli, Cluedo e pochi altri board game di successo ha resistito alle mode, alla fragilità delle nuove generazione e persino ai videogiochi. Anzi ha conquistato e sedotto i giovanissimi costringendo cinema, televisione e videogiochi a inseguire. Una rarità multimediale da studiare all’università.

Quando è nato nel 1974 aveva una confezione gialla che raffigurava un guerriero vichingo a cavallo. Era un oggetto di nicchia nato per giovani di nicchia. Parliamo dei nerd delle università americane, i secchioni con le penne nel taschino e gli occhiali tenuti insieme con il cerotto, gli stessi che sarebbero presto diventati gli Elon Musk, i Bill Gates, gli uomini chiave ai vertici dei giganti del Big tech. A differenza però del fantasy come genere che è diventato mainstream, D&D ha colonizzato a modo suo cinema, libri, serie tv e videogiochi. Dal successo planetario della serie Netflix di Stranger Things al mezzo flop al cinema di “Dungeons and Dragons: L’onore dei ladri” non è semplice individuare l’algoritmo che ha permesso a questo gioco da tavolo di contaminare altri media.

Un esempio su tutti è Baldur’s Gate 3. Nell’estate dell’anno scorso è comparso un videogioco di ruolo a turni di ambientazione fantasy ispirato a D&d. All’inizio sembrava una operazione nostalgia di appassionati per appassionati. Il videogioco di Lariam Studios è invece risultato essere il gioco più premiato del 2023, raccogliendo più premi dell’ultimo Zelda di Nintendo e vincendo il Goty (Game Of The Year) dell’anno scorso. Il segreto di questo successo è nel gameplay, nel suo non dare punti di riferimento: non sembra di giocare contro un computer. Il gioco non si rompe mai, potete essere e fare quello che vi pare e qualche cosa accadrà. Qualcuno ha scritto che non sembra di giocare contro un computer ma con un Dungeon Master umano, acuto e ironico. Il segreto di Baldur’s Gate è forse quello di avere preso il meglio del gioco da tavolo che punta tutto sulla fantasia. Lariam Studios del resto è una mosca bianca nell’industria videoludica. Una azienda di appassionati del gioco di ruolo nata per progettare il migliore fantasy di sempre. Ci sono riusciti e continuano ad aggiornare Baldur’s Gate 3 allargando sempre di più la community di giocatori (senza licenziare nessuno), lanciando un segnale a tutto il mercato su come si progettano successi commerciali.

Dopo cinquant’anni di vita insomma quello che ha dimostrato D&D è di non essere una ambientazione, un gioco di genere per una nicchia. Non è semplicemente un fantasy ma invece un sistema di regole che è rimasto sostanzialmente lo stesso senza scendere troppo a compromesso con i tempi, la fetta e l’ansia da frustrazione della generazione. Oggi come negli anni Ottanta ci sono ancora i tiri di dadi che stabiliscono successi e fallimenti, i libri (Manuale del giocatore, Manuale dei mostri e Guida del Dungeon Master) e oggi come allora servono le matite e le gomme e i fogli di carta per segnare l’evoluzione del proprio personaggio durante l’avventura. Serve tempo, tanto tempo perché le partite possono durare ore o interi pomeriggi.

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