Storie Web lunedì, Maggio 20
Notiziario

La mamma di Federico Luzzi, il tennista scomparso nel 2008 per una leucemia fulminante, ha raccontato ai microfoni di Fanpage.it chi era davvero Fede e come vive ancora oggi nei progetti portati avanti in suo nome.

In pochi hanno saputo conquistare l’affetto del pubblico come Federico Luzzi nel tennis. Il giocatore aretino ha lasciato un segno importante e non solo in campo grazie al sorriso contagioso, alla semplicità e a quell’imprevedibilità diventata celebre anche attraverso le “luzzate”. Fenomenale a livello giovanile, “Chicco” dovette poi fare i conti anche con un problema fisico nella sua carriera professionistica, che lo limitò e non poco. Nonostante tutto, Luzzi nella sua seconda vita tennistica riuscì a risollevarsi, pur senza migliorare il suo best ranking della 92a posizione al mondo. Una carriera che sembrava prossima alla svolta definitiva dopo i successi a livello Challenger e la maglia azzurra della Coppa Davis vestita con orgoglio e che invece è stata spezzata da quella leucemia fulminante che lo ha portato via il 25 ottobre 2008.

Mamma Paola, ai microfoni di Fanpage.it, ha raccontato chi era davvero Federico, che vive ancora non solo attraverso i ricordi ma anche grazie all’attività dell’associazione Fede Lux prima e dall’AIL Arezzo poi. Una lezione di vita eccezionale per tutti.

Signora Paola, di Federico in campo si sa quasi tutto. Com’era invece lui dietro le quinte?
“Federico me l’hanno raccontato in tanti, essendo io la mamma di un un ragazzo che da tennista è andato via da casa a 13 anni e mezzo. Nei 15 anni di vita che ha vissuto, io non ho visto molto perché lui era sempre via. Ovviamente negli altrettanti 15 anni passati dalla sua morte io ho girato il mondo per vari tornei. Ho fatto il mio personale Slam, seguendo anche le Finals, le Next Gen, e così via. Questo perché quando Federico giocava io non potevo seguirlo, mia mamma era anziana. Mi diceva ‘vieni a Parigi o a Wimbledon a vedermi’? E io non potevo. Poi nel 2008 mi disse ‘adesso puoi venire a vedermi’, ma è morto. E quindi lo Slam l’ho fatto in sua memoria”.

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Il ricordo di Federico però è sempre vivo, ha lasciato un segno importante nel mondo del tennis.
“In questi anni ho parlato con giocatori, allenatori e sono diventata amica di Federer, Nadal, Djokovic, Feliciano Lopez.  Sono stati tutti fantastici. Mi hanno aiutato, firmando gadget per l’associazione. C’eravamo specializzati nelle mini-magliette con la scritta Fedelux e la loro firma. Li immortalavo mentre firmavano e poi le vendevamo. Compresi Agassi, McEnroe, Sampras, Kuerten. Ho trovato anche le vecchie glorie in occasione del Roland Garros”.

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Federico aveva un entusiasmo coinvolgente ed era amatissimo, proprio per il suo atteggiamento sempre positivo. 
“Dai racconti di queste persone ho ricostruito quanto fosse amato Federico. Mi dicevano che bastava entrasse lui nello spogliatoio, dove si respirava nervosismo, e con due battute e un sorriso faceva tornare l’allegria. È una delle cose più belle di mio figlio. Aveva questa bacchetta magica dell’armonia e noi ci siamo stupiti dopo la sua morte di quanto seguito avesse. Non è che lo conoscessimo: il fatto è che avevamo mandato via un ragazzino ed era tornato un uomo, fatto e finito, cresciuto anzitempo rispetto ai suoi coetanei. Aveva diffuso tanto amore. A Federico sorridevano gli occhi e la gente se ne accorgeva”.

Da piccolo era un vero e proprio fenomeno, ma poi è stato limitato fortemente dagli infortuni. Dove sarebbe potuto arrivare?
“La sua carriera è stata drasticamente limitata da un problema alla spalla. Aveva una lassità capsulare come suo padre e come anche mio nipote. Oggi si corregge chirurgicamente con una stupidaggine, ma all’epoca no e mio marito, pur essendo medico, sconsigliò l’intervento perché il recupero sarebbe stato lunghissimo. Questo è costato due anni di discesa agli inferi, precipitando al numero 400 del mondo. Quando risalì, gli dissi ‘sei 102, ma è più apprezzabile questo di quando ci sei arrivato alla soglia dei 20 anni senza accorgertene, perché questo te lo sei sudato’. E mi ringraziò”.

Un percorso tennistico particolare che gli aveva comunque regalato tante soddisfazioni, sembrava anche aver raggiunto la maturità giusta.
“Federico ha avuto la disgrazia di non avere un unico allenatore a seguirlo durante tutta la loro crescita. Ne ha avuti 12, li cambiava ogni 2-3 anni e non trovava continuità. A 28 anni poi ha trovato Alberto Castellani, persona meravigliosa. Federico è morto pieno di progetti. Mi aveva detto: ‘Mamma, ho finalmente trovato quello che ha puntato l’occhio su ciò che mi manca. Io non avevo curato il lato psicologico: concentrazione, preparazione, fiducia in me. Con lui ho capito cosa mi farà fare il salto'”.

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Che programmi aveva per il futuro suo figlio?
“Erano altri tempi, 15 anni fa. Tutti pensavano che con la sua limitazione tra i primi 50 sarebbe stato il suo posto giusto. Non era in declino, ma un ragazzo che aveva di fronte, con la salute, altri 7-8 anni di bel tennis”.

Lui era soddisfatto del suo percorso tennistico?
“Era rimasto grezzo, l’alimentazione e la preparazione mentale erano ai primordi. Gli si poteva tirare fuori il 50% inizialmente. Una volta a Trani disse che aveva perso perché la sera prima aveva mangiato una cofana di cozze meravigliose. Ecco si va ad un torneo e si perde per un’indigestione di cibo stupendo. Oggi sarebbe inammissibile, anche per i ragazzini emergenti. Sono seguiti in tutto. Federico non ha sfruttato le sue potenzialità nonostante si sia ricavato una vita che gli è piaciuta molto. Non è arrivato dove lui sperava e pensava, ma è stato in posizione di comprare una casa, una macchina, di vivere bene e togliersi anche qualche sfizio”.

Impossibile dimenticare le sue ‘luzzate’: c’è qualche aneddoto che rende l’idea di quanto fosse unico Federico?
“Era istrionico, doveva stupire. Le ‘luzzate’, era stato coniato un neologismo per lui: i colpi di genio di Federico. Affettuoso, mirabolante, sorprendente e molto gentile. Io sono stata una mamma molto severa e all’epoca i ragazzi erano molto meno influenzabili dai social, che non esistevano quasi. Era un ragazzo rispettoso, amoroso, cresciuto alla vecchia maniera. Mi hanno raccontato tanti aneddoti su persone che ha aiutato. Una volta mi disse: ‘Mamma, ho scoperto che un giocatore argentino è un anno e mezzo che non va a trovare i suoi perché non ha i soldi per il biglietto e io gliel’ho comprato'”.

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C’era e c’è da essere orgogliosi di Federico.
“L’ho sempre lodato, poteva appendere la racchetta al chiodo ma io guardavo la persona e non il tennista, m’importava che lui rimanesse sempre in un certo modo. Sono stato sempre fiero di questo ragazzo e non per il tennis, dove comunque è arrivato dove arrivano in pochi. Adesso abbiamo quest’onda meravigliosa di ragazzi. C’è il gran gala dello sport, dove con il Trofeo Luzzi da sette anni premiamo i ragazzi emergenti. Quello che abbiamo azzeccato di più è stato Lorenzo Musetti, visto che poi è esploso. Ho premiato quest’anno Demarchi che gioca con Cinà. Ci piace mettere i riflettori sui ragazzi che saranno il tennis del futuro”.

È vero che nel tennis aveva creato dei rapporti solidissimi?
“Pennetta ha chiamato il figlio Federico in sua memoria. Lei era una sorella per Federico. Doveva partire per il Canada per un torneo importantissimo che la proiettava nella top 10 nel 2008. Mollò tutto e venne ad Arezzo: abbiamo composto la salma di Federico, lei, io e la fidanzata di Fede. Flavia era accanto a noi, abbiamo vestito Federico con la divisa di Coppa Davis e non lo dimenticherò mai. Da un tennista questo è un gesto che ha un valore enorme. Mollare una cosa di quel genere per venire da Federico già morto, perché era una cosa così veloce, e senza avere nemmeno il tempo di salutare”.

La famiglia Luzzi in occasione della presentazione di via Federico Luzzi

La famiglia Luzzi in occasione della presentazione di via Federico Luzzi

Qual è la prima cosa che le viene in mente quando ripensa a quei giorni terribili?
“Per fortuna di Federico è stato tutto così veloce. Nessuno ha avuto modo di rendersi conto che non si sarebbe svegliato più. Dico sempre: morire non è niente se non hai la percezione che stai per morire e non ti viene la paura. Questa a Federico è stato risparmiata e valuto tutto come una grazia. Altre persone hanno avuto giorni di terapia, il tempo, l’illusione della speranza. Sapere poi che invece ti aspetta la morte è tremendo. Federico morto sembrava un ragazzo steso al sole a prendere il sole, era bellissimo perché sorridente. La morte ti libera da cattiverie e dolore”.

Ne parla con una serenità eccezionale. Ma come si può metabolizzare un dolore così?”
“Ho fatto una missione ed è quello che mi ha salvato, consentendomi di tornare ad una vita quasi normale. Prima di Federico avevo perso un fratello minore, eravamo nati nello stesso giorno, alla stessa ora, a tre anni di distanza. Per lui ero la mamma, perché mia mamma era malata e cardiopatica. Ho perso Roberto a 49 anni, era bello, simpatico divertente e per noi si è aperto un abisso. Dopo 14 mesi è morto Federico. Per me sono state due prove terribili. Devo dire che il pensiero di Federico poi mi ha aiutato. Ho pensato a come avrebbe voluto vedermi lui e questo mi ha guidato”.

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Mi ha colpito molto il fatto che Federico per voi sia ancora vivo grazie ai tanti racconti degli ultimi anni.
“Ho scoperto un figlio. Se conoscevo la punta dell’iceberg, poi in 15 anni aneddoti, racconti e ricordi mi hanno illuminato. Io non ne parlo con tristezza. Uno pensa che il dolore sia infinito, ma il dolore fisiologicamente passa perché il tempo appanna tutto nel bene e nel male. Quello che diventa sconvolgente, e rimane inalterato, è la nostalgia. Di un abbraccio che non tornerà più e ti massacra. Io sono una persona allegra, se però lei dovesse aprirmi con una cerniera troverebbe una parte dentro dove è passato il napalm. C’è qualcosa dentro me che è morto, inaridito”.

Lei ha alimentato la sua passione per il tennis? 
“Io sono molto decisa, quando Federico mi chiedeva di portarlo in giro, prendevo e andavo. Ho un curriculum da camionista. Facevo l’insegnante nei tempi in cui c’erano meno impegni pomeridiani. Ho un’autonomia di più di 900 km, da Arezzo a Merano andata e ritorno in un giorno. Non avevo nessun problema, ero sempre con lui. Quattro mesi dopo la sua morte – lui aveva vinto l’ultimo torneo a Cherbourg – ho detto a mio marito che avevo già fissato tutto, aereo compreso, per andare lì. Mi ero messa in contatto con gli organizzatori. Erano felicissimi perché avrei portato delle foto di Federico e le avremmo messe in vendita per beneficenza. Sono partita il giovedì e sono tornata il sabato. Mio marito pensava fossi pazza. L’accoglienza che mi hanno fatto, il minuto di silenzio, l’entusiasmo e la deferenza. Queste foto andate a ruba in una serata di gala, con gli assegni inviati, mi hanno fatto pensare: allora posso fare qualcosa. Questo mi ha salvato perché Federico mi diceva ‘io voglio lasciare il segno'”.

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Qual è la cosa più strana che ha fatto per lui? C’è un episodio curioso che vi ha legato?
“Lui era un under 12 di talento e iniziò a vincere qui e là. Ci fu il masters regionale a Lido di Camaiore, dove non era il favorito. Alla vigilia gli dissi: ‘Fede facciamo una scommessa, se vinci il torneo la mamma fa il bagno vestita’. E lui mi rispose: ‘Sì mamma, te con le tue scommesse…’. Giocò, perse il primo set ma lui era un po’ come Sinner: quando Jannik è sotto 0-40 sappiamo tutti che poi lo fa lui il game, perché ha una sicurezza assoluta. Federico vinse e ripartimmo”.

Per lui avrebbe fatto questo e altro.
“Mi fermai sul lungomare e pagai la scommessa. Lui non ci credeva, allora gli spiegai: ‘Sono una persona seria, ho detto che faccio il bagno vestita e lo faccio. Mi guardano tutti? Pazienza’. Avevo il cambio pronto, perché ero sicura che vincesse. Ricordo i suoi occhi, aveva le stelline perché sapere che la mamma era sicura della sua vittoria e già pronta a questa cosa gli piaceva da matti”.

Avete trovato la forza per andare avanti e creare associazioni che aiutano tante persone.
“Lui è morto e io mi sono rimboccata le maniche perché il segno l’avrei lasciato io. È stato come soffiare sul fuoco per 15 anni. Mia figlia, che lavorava in azienda di medicinali, ha mollato tutto e ha iniziato a lavorare per Chicco, come me. Abbiamo tirato su prima Fedelux e poi AIL Arezzo. Quest’ultimo è un ente che nella provincia è la quarta zampa del tavolo della sanità per l’ematologia. Nel 2022 abbiamo speso 100mila euro per rinnovare il reparto di ematologia che era stato chiuso per il Covid, l’anno scorso 58mila per riarredare il day hospital con tutti i macchinari. Noi ci siamo e la gente sa quanto facciamo, infatti riceviamo delle donazioni fantasmagoriche. Il nome di Federico è legato a qualcosa di molto grande e io posso morire tranquilla. C’è anche il gran galà Luzzi, il campionato italiano under 14 Luzzi, ora anche via Federico Luzzi ad Arezzo”.

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Quanto siete soddisfatte di quello che avete creato nel ricordo di Federico?
“Ci siamo guardati con mia figlia, poi abbiamo guardato all’insù verso quello che chiamiamo altrove: ‘La mamma e la Franci ce l’hanno messa tutta’. Sono stati 15 anni difficilissimi, però sono gratificata e appagata. Ho detto: ‘Chicco ora basta però perché non sei Roger Federer e ti devi accontentare’ (sorride, ndr). Questo è tanto e rimane inattaccabile perché aiuta l’AIL e la ricerca contro le leucemie, che ha fatto passi da gigante. Chi moriva prima, ora sopravvive lustri. Abbiamo dei risultati importanti e io sono fiera che il nome di Federico sia legato a questa cosa che sopravviverà negli anni. Qui sanno che chiunque abbia un problema basta che ci chiami: arrivano i rimborsi, le navette, il medico, l’infermiere e lo psicologo a casa. Noi ci siamo e questa è la più grande impresa. Non l’avrei mai fatta per me, ma per un figlio morto si fa questo e altro”.

Abbiamo letto che poco prima di morire gli portò di nascosto un piatto di pasta. L’ultima luzzata?
“La pasta di nascosto in ospedale… Mi disse: ‘Mamma ce l’hai fatta, li hai fregati e mi hai portato le penne’. Sono ricordi preziosissimi. Avevo l’abitudine di fare album e ne ho sei con tutti i ricordi. Da quando ha iniziato, foto, tabelloni e interviste. Sono piena di tantissime cose, ricordi meravigliosi”.

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