Storie Web mercoledì, Marzo 19
Notiziario

È stato l’anno di Tony Effe e Mahmood, in testa alle classifiche Fimi GfK di album e singoli. Ma il 2024 è stato soprattutto il settimo anno consecutivo di crescita per la discografia italiana che ha centrato il giro d’affari record dal 1997 a oggi, grazie al formidabile traino dello streaming e a quello premium in particolare. Lo rivela l’ultima edizione del Rapporto Ifpi, vera e propria Bibbia dell’economia della musica che il Sole 24 Ore ha avuto la possibilità di visionare in anteprima.

Italia terzo mercato Ue

In un contesto che vede la discografia mondiale toccare i 29,6 miliardi di dollari di business grazie al decimo anno consecutivo di crescita (+4,9%), per la nostra musica incisa il 2024 si è chiuso con un giro d’affari complessivo da 461,2 milioni di euro, l’8,5% in più rispetto al 2023. L’Italia centra insomma il record di business da quando esistono le rilevazioni Fimi (correva l’anno 1997) a questa parte, si conferma 12esimo mercato globale (sui primi tre gradini del podio ci sono Usa, Giappone e Uk) e terzo più importante mercato dell’Unione europea, dopo Germania e Francia. Il digitale vale 312,2 milioni (+13,1%), per gran parte grazie allo streaming, segmento da 308,1 milioni in crescita del 13,5 per cento.

Lo streaming premium – ossia il servizio di ascolto dietro abbonamento – è ovviamente la fetta più consistente della torta: vale 204,9 milioni e cresce del 17,1%, la maggior percentuale di incremento che si riscontra nei dati italiani. Tutto questo grazie a una riproduzione complessiva di 95 miliardi di stream nel corso dell’anno, dato in crescita del 31% rispetto al 2023. I video in streaming (52,7 milioni) e lo streaming supportato dalla pubblicità (50,5 milioni) quasi si equivalgono in quanto a giro d’affari. Prosegue inarrestabile la caduta libera del download (-12,7%), un format ritenuto ormai obsoleto dagli ascoltatori che muove appena 3,9 milioni.

La fine del Bonus Cultura

Il segmento fisico del mercato italiano cala del 2,1%, attestandosi sui 61,3 milioni. Si tratta di un rallentamento imputabile alla sostituzione del Bonus Cultura con le nuove Carte Cultura che hanno incentivato in minor misura l’acquisto di musica registrata. L’unico formato con il segno più (+6,8%) è il vinile, ormai consolidatosi supporto leader del mercato fisico con 38,9 milioni di valore. Male il cd (21,9 milioni, il -15,1% rispetto all’anno precedente), poco consistenti altri formati come le musicassette (sui 300mila euro).

Il segmento dei diritti connessi – ossia i diritti di cui godono gli esecutori della musica incisa – ha registrato un aumento del 2,6%, raggiungendo un valore di 74,8 milioni di euro e ricoprendo il 16% dei ricavi complessivi, fino a diventare di fatto la seconda fonte di ricavi del mercato dopo lo streaming. Nonostante la flessione registrata nell’area della copia privata a causa del calo delle vendite degli apparecchi elettronici, il dato complessivo testimonia l’importanza crescente delle royalties derivanti dall’utilizzo pubblico della musica: un’area che continua a garantire entrate significative per artisti e produttori.

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