Storie Web venerdì, Agosto 1
Notiziario

Fare quadrato, evitare slabbrature, combattere il rischio boomerang dopo l’intesa Usa-Ue sui dazi al 15 per cento. Ieri Giorgia Meloni ha evitato note, dichiarazioni e uscite ufficiali. Ma, dopo la trasferta etiope, ha riunito a Palazzo Chigi i vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il titolare della Difesa, Guido Crosetto (videocollegato), e il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti.

Il dossier sul tavolo era quello degli investimenti in difesa, in particolare il fondo europeo Safe da 150 miliardi di prestiti per rafforzare capacità industriale e tecnologica. Fondo a cui l’Italia in serata ha comunicato l’adesione. Con l’obiettivo, spiegano fonti di governo, di finanziare i programmi di difesa già pianificati nel quinquennio 2026-2030 e «alleggerire il bilancio dello Stato ricomprendendo buona parte delle spese della difesa sul programma Safe».

Ma la testa era ai dazi. In attesa dell’intesa quadro definitiva e, soprattutto, del successivo accordo giuridicamente vincolante che ogni Paese dovrà impegnarsi a rispettare, la premier predica prudenza. Lo farà anche oggi in Consiglio dei ministri. Non ha intenzione di restare isolata in Europa, dopo che persino il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha preso le distanze dal patto. Contatti e telefonate con le altre cancellerie sono stati continui, così come lo sguardo ai mercati e allo spread.

Le preoccupazioni e le proposte del presidente degli industriali, Emanuele Orsini, non lasciano la presidente del Consiglio indifferente. Ieri a incaricarsi di rassicurare le imprese ci ha pensato il ministro Adolfo Urso, che ha presieduto al Mimit la riunione del Comitato interministeriale per l’attrazione degli investimenti esteri con i colleghi Tajani e Giorgetti, ricordando che nel 2024 «l’Italia ha registrato un record storico in Europa per gli investimenti esteri greenfield, con 35 miliardi di euro: più di Germania e Francia» e che «gli Stati Uniti si confermano il primo investitore non europeo in Italia». «Questo è il momento di far pesare le nostre ragioni», ha detto Urso, per declinare l’accordo di Turnberry «nei vari comparti e renderlo equo e sostenibile. Metteremo in campo il massimo sforzo a tutela del Made in Italy: dalla componentistica auto alla farmaceutica, dalla microelettronica alla meccanica, dai vini all’agroalimentare».

Questa è la promessa dell’esecutivo: prima battersi sulla lista delle esenzioni, poi studiare gli aiuti ai settori che risulteranno più esposti. A proposito dei 25 miliardi promessi dal governo sin da aprile come risultato della rimodulazione di fondi tra Pnrr e Coesione (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), Foti ha definito non a caso impossibile, a oggi, «prospettare una rimodulazione coerente del Pnrr».

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