Storie Web venerdì, Giugno 6
Notiziario

Quello del riarmo sotto la spinta della Nato, a sua volta costantemente sollecitata dal presidente Usa Donald Trump, è un percorso che per l’Italia si sviluppa tassello dopo tassello. E non potrebbe essere altrimenti. Il primo della strategia Meloni è stato, all’indomani della pace siglata con il presidente francese Emmanuel Macron a Roma, il vertice di governo incentrato sui temi messi sul tavolo in questi ultimi mesi dall’Alleanza Atlantica. Il riavvicinamento tra la premier e il presidente francese è stato anche dettato dalla necessità di fare fronte comune in Europa davanti ai timori di netti smarcamenti di Trump dall’Alleanza Atlantica, parte di una strategia che il presidente americano non ha nascosto negli ultimi mesi e che potrebbe giungere al momento della verità in occasione del summit del 24 e 25 giugno all’Aia.

L’attenzione è tutta sul summit Nato dell’Aia di fine mese

In quella sede Meloni annuncerà il raggiungimento della soglia del 2% delle spese militari rispetto al Pil, impegno che sarà assicurato anche prima al segretario generale della Nato Mark Rutte, ospite della presidente del Consiglio il 12 giugno. È l’obiettivo dichiarato dal governo in questi mesi, raggiunto includendo nuove voci ai capitoli di spesa, compatibili con i parametri Nato, che sono diversi da quelli della Commissione Ue, in base ai quali – come affermato da Bruxelles nel documento sulle raccomandazioni all’Italia, nell’ambito del Semestre europeo – la spesa per la difesa è prevista all’1,3% del Pil sia nel 2024 sia nel 2025.

La scelta di non chiedere deroghe al Patto di stabilità

Italia e Francia non sono fra i 16 Paesi Ue che hanno chiesto deroghe al Patto di stabilità per aumentare le spese della Difesa, nell’ambito del pacchetto ReArm-Readiness. Ora le convergenze annunciate saranno messe alla prova dai prossimi snodi geopolitici, dai negoziati sull’Ucraina e quelli fra Ue e Usa sui dazi, con il summit Nato che arriverà dieci giorni dopo quello, non meno delicato, del G7 in Canada.

La Nato spinge sul 5%

All’inizio l’idea di investire il 5% della ricchezza nazionale nella difesa era una proposta caldeggiata dal presidente Usa, ma accolta con una certa freddezza all’interno dell’Alleanza atlantica. Se i Paesi membri hanno difficoltà a raggiungere la soglia del 2%, era il ragionamento diffuso tra molte cancellerie, alzare l’asticella oltre quella soglia, e in quel modo sembrava operazione poco fattibile, soprattutto per chi, come Italia e Francia, hanno a che fare con un debito pubblico particolarmente gravoso. Con il passare de tempo, tuttavia, e con l’avvicinarsi del summit nei Paesi bassi, la sensibilità su questo dossier è cambiata e sulla proposta di alzare l’asticella al 5% si è andata compattando l’intera Nato. Tanto che la dottrina del tycoon – rilanciata con fermezza dal suo segretario alla Difesa Pete Hegseth – ha riscontrato, in occasione della riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza atlantica che si è tenuta nelle ultime ora a Bruxelles, un primo sbocco nell’intesa sui nuovi obiettivi di capacità dell’Alleanza.

La proposta del segretario generale Rutte: 3,5% per armamenti, 1,5% per infrastrutture e industria

Sarà infatti il segretario generale Mark Rutte a mettere sul tavolo dei leader all’Aia il 24-25 giugno il piano d’investimenti per tradurre la visione americana in numeri anche europei: un 3,5% del Pil all’anno per gli armamenti, il restante 1,5% da destinare a investimenti strategici in infrastrutture, industria e sicurezza. Una formula concepita per rendere il traguardo più sostenibile per i Paesi in ritardo come l’Italia, senza deludere l’aspettativa di Washington di avere alleati più autonomi sul piano militare. «Abbiamo concordato obiettivi di capacità, validi per ogni Paese – ha chiarito Rutte in conferenza stampa al termine della ministeriale Difesa dell’Alleanza – e non voglio entrare nei dettagli» del piano d’investimenti con il target di spesa per la difesa fissato al 5% che sarà presentato al vertice dell’Aja. «Gli alleati – ha sottolineato – discuteranno sui dettagli, ad esempio sulla data» entro la quale raggiungere gli obiettivi, «ma il sostegno degli alleati» a rafforzare l’impegno è «forte». «Gli alleati capiscono che è necessario perché viviamo in un mondo diverso, con maggiori minacce», ha poi concluso.

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