Sessanta anni fa, il 18 marzo 1965 un astronauta sovietico, Aleksej Leonov usciva, per la prima volta nella ancora breve storia dell’astronautica, fuori dalla navicella spaziale, Voschod 2, che lo aveva portato, assieme al suo compagno Pavel Beyayev, in orbita a 500 chilometri dal suolo terrestre.
Poco più di dieci minuti nello spazio, collegato alla navicella – rotonda, scomodissima e molto pesante – solamente da una specie di cordone ombelicale. Era la prima EVA, attività extraveicolare della storia dell’astronautica, che apriva le porte alle tante altre che sono state fatte in questi 60 anni, specie dalla Stazione spaziale internazionale, ISS, per riparazioni o montaggio di strumenti esterni.
Non solo, senza quell’uscita non si sarebbe mai arrivati alle attività al suolo lunare della fine di quel decennio, col programma americano Apollo, attività che oggi vedono una riedizione di molto potenziata con il programma Antares di Nasa e molti altri Paesi, una cinquantina, fra cui il nostro. Il motivo è semplice, senza quella breve uscita non si sarebbe mai saputo se un astronauta, per quanto protetto dalla tuta, poteva vivere e operare nello spazio.
Fu un enorme successo, ancora una volta, dell’Unione sovietica: dopo il primo satellite artificiale, lo Sputnik, nel 1957, il primo uomo a orbitare attorno alla Terra, Yuri Gagarin, aprile 1961, e poco dopo invierà anche la prima donna nello spazio Valentina Tereskova, giugno 1965. Gli Usa stavano riguadagnando terreno, tanto che la prima passeggiata spaziale statunitense, di Edward White durante la missione Gemini 4, fu del giugno successivo, sempre 1965. La competizione spaziale fra Unione Sovietica e Stati Uniti era al massimo e la svolta a favore degli Stati Uniti si faceva sempre più vicina.
Oggi ci sembra normale che un astronauta possa uscire nello spazio, ma è un’operazione molto complessa. Di lì a poco ci furono anche tentativi, riusciti, di inviare astronauti completamente slegati dalla capsula madre, ma allora non si sapeva neppure se un astronauta poteva sopravvivere all’ostile ambiente dello spazio, pur se protetto dalla speciale tuta che viene indossata per queste attività. È il ruolo dei primi, essere più coraggiosi e anche un tantino temerari.