Cola e Fernet. Da quando il “Fernandito” è diventato in Argentina bevanda nazionale, per la Fratelli Branca Distillerie i conti sono cambiati decisamente in meglio, con Buenos Aires a rappresentare per il gruppo basato a Milano il mercato più interessante.
Un’eccezione tuttavia, all’interno di un quadro in quell’area decisamente meno roseo per le nostre imprese. Che oggi, di fronte alla potenziale parziale chiusura del mercato Usa come conseguenza dei dazi, guardano con speranza ai mercati in grado di esprimere nuove commesse. E in termini di potenziale ancora inespresso, l’area del Mercosur (Brasile+Argentina+Paraguay+Uruguay) è certamente nelle posizioni di vertice. Per l’Italia il possibile accordo di libero scambio che la Ue punta a chiudere dopo anni di stallo sarebbe un balsamo, tenendo conto dei risultati deludenti finora raggiunti, con valori di export immobili o quasi da dieci anni. Se nel 2014 le esportazioni nazionali verso i paesi del Mercosur valevano 6,6 miliardi di euro, ora siamo arrivati ad appena 7,5. E il fatto che si tratti del massimo storico è in effetti una magra consolazione, tenendo conto che nello stesso periodo, mentre le nostre vendite nell’area lievitavano di appena il 13%, tra 2014 e 2024 l’export globale nazionale è passato da 399 a 623 miliardi, un balzo del 56%, dunque più di quattro volte superiore. Un terzo delle nostre vendite dirette nell’area è per il settore dei macchinari e delle attrezzature, un altro miliardo arriva dai mezzi di trasporto. Seguono la chimica (718 milioni) e poi farmaceutica (644) e prodotti alimentari (402 milioni). Cifre limitate e potenzialmente sviluppabili al venir meno delle barriere tariffarie e non, pensando ai bisogni d i un mercato da oltre 250 milioni di abitanti.
Mercosur è in realtà soprattutto Brasile, che infatti canalizza quasi interamente il nostro export nell’area, con 5,8 miliardi nel 2024. Brasile che solo dopo lo scatto del primo trimestre 2025 riesce ad entrare nella top 20 dei nostri mercati di sbocco (ora è 18esimo), perché fino allo scorso anno galleggiava in 24esima posizione. Nessun passo in avanti dunque rispetto a quanto accadeva 10 anni prima, tenendo conto che nel 2014 il Brasile era in effetti il 18esimo mercato, proprio come accade in questo primo scorcio del 2025. L’Italia, tuttavia, è comunque il settimo fornitore del paese, con una quota di mercato del 2,6% sugli acquisti carioca.
Situazione peggiore verso l’altro mercato chiave dell’area, l’Argentina, a lungo penalizzata dalla continua svalutazione del cambio, situazione che ha allontanato gli investitori e complicato ogni transazione commerciale. Con vendite per poco più di un miliardo nel 2024, Buenos Aires è il 58esimo nostro mercato di sbocco. Mentre l’Italia rappresenta per l’Argentina l’ottavo maggiore fornitore, con una quota di mercato del 2,2%.
Se rispetto all’area del Mercosur presentiamo un deficit commerciale rilevante nell’area della carta e dei prodotti alimentari (importiamo per queste due categorie oltre 2,5 miliardi di euro, esportando meno di mezzo miliardo), nel comparto dei macchinari invece non c’è partita. L’attivo del 2024 è superiore ai due miliardi di euro, tenendo conto di nostre esportazioni per 2,5 miliardi e un import che si ferma a meno di 200 milioni. I dazi sui macchinari oscillano a seconda delle categorie in un range dall’11 al 20% e una loro riduzione potrebbe evidentemente produrre commesse aggiuntive. Federmacchine vede dunque con favore l’accordo di libero scambio, soprattutto per ridurre le complicazioni verso il Brasile (ad esempio l’anticipo richiesto per alcune imposte), paese che rispetto ai macchinari made in Italy può rappresentare uno sbocco significativo. L’auspicio della categoria è che l’intesa si estenda anche agli strumenti finanziari, in modo da agevolare l’attività delle imprese nei pagamenti e nelle garanzie del credito. In generale il Brasile pone già ora le opportunità più ghiotte nell’area e il rapporto Ingenium di Confindustria, anche al netto dell’intesa di libero scambio, vede un potenziale di export inespresso nei soli macchinari per oltre 200 milioni di euro.