Storie Web venerdì, Maggio 17
Notiziario

È passato più di un mese da quando i commissari di La Perla Manufacturing hanno presentato al Tribunale di Bologna la relazione relativa alla possibilità di ammettere l’azienda all’amministrazione straordinaria e quindi di riavviare la produzione.

«Il 18 aprile sono terminati i 30 giorni ordinativi per avere una risposta sull’amministrazione straordinaria e ancora non si sa nulla, siamo stanche di aspettare, la fabbrica è chiusa dallo scorso 15 dicembre e solo poche settimane fa si è sbloccata la cassa integrazione per le 300 lavoratrici di Bologna, che erano senza stipendio dallo scorso ottobre. Ma nessuno qui vuole i sussidi dello Stato, l’obiettivo è tornare a lavorare». Sono le parole con cui Stefania Pisani, segretaria generale della Filctem Cgil di Bologna, spiega le ragioni dell’insolita protesta andata in scena ieri davanti ai cancelli dello stabilimento di La Perla Manufacturing, dove le dipendenti hanno allestito un banco di lavoro lungo più di 20 metri e ricostruito l’intero processo produttivo per la realizzazione della lingerie di lusso apprezzata in tutto il mondo: dal magazzino materie prime, all’ufficio stile, quello tecnico, il taglio, la prototipia, la produzione, lo sviluppo taglie, l’amministrazione, la comunicazione, il marketing, l’e-commerce, l’ufficio resi.

A fare da sfondo al flash mob, biancheria intima in formato gigante appesa davanti all’ingresso, come gigante era la fama del marchio di corsetteria fondato 70 anni fa da Ada Masotti, arrivato a fatturare 250 milioni di euro con 1.500 dipendenti nel mondo, ma che negli ultimi 17 anni è stato rimbalzato da un fondo straniero e all’altro, in vani tentativi di salvataggio finiti regolarmente con bilanci in perdita e la resa anche dell’ultimo proprietario, il finanziere Lars Windhorst.

Lo scorso 27 gennaio la Corte britannica ha decretato la liquidazione giudiziale della casamadre inglese La Perla Global Management UK, seguita il 1° febbraio dalla decisione del Tribunale di Bologna di dichiarare lo stato di insolvenza anche dello stabilimento italiano di Perla Manufacturing Srl, l’unità produttiva, con la nomina di tre commissari giudiziali – gli avvocati Francesco Paolo Bello, Francesca Pace e Gianluca Giorgi – con il compito di valutare la fattibilità dell’amministrazione straordinaria. I tre commissari hanno già depositato il parere, validato dal Mimit, in Tribunale a Bologna e la speranza è che ieri, nell’ultima camera di consiglio del mese, il Tribunale abbia deciso. «Lo sapremo a giorni, l’amministrazione straordinaria permetterebbe di riunificare e assorbire nella gestione della “fabbrica” bolognese anche le altre due procedure, quella aperta a Londra per la capogruppo La Perla Management Uk, di cui sono curatore con il collega Andrea Monari – spiega Luca Mandrioli, commercialista e accademico modenese – e quella di La Perla Italia, cui fanno capo le boutique, a sua volta in liquidazione giudiziale». L’alternativa è la liquidazione giudiziale che implica però di proseguire con due procedure parallele per un unico soggetto, La Perla Management UK e le sue controllate, perché dopo la Brexit non è più possibile l’applicazione delle norme sull’insolvenza transfrontaliera e Londra e Bologna dovrebbero portare avanti due iter, uno secondo la normativa inglese e l’altro secondo quella italiana, molto diverse tra loro.

Un caso inedito nella letteratura giuridica. E una soluzione, quella della liquidazione, che porterebbe alla definitiva chiusura dello stabilimento bolognese di lingerie, che può solo produrre ma non vendere, perché l’unica controparte titolata ad acquisire la produzione e a venderla è la casamadre inglese. «Se i commissari riattivano oggi la produzione, l’azienda si troverà a stoccare tutta la merce in magazzino, perché La Perla Manufacturing non la può vendere – spiega Mandrioli – l’unica via sarebbe licenziare l’uso del marchio in Italia». Di investitori interessati a rilevare l’intero e intricato compendio di società italo-britanniche non c’è notizia, «c’è interesse solo per rilevare il marchio» ammette il curatore.

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