Dal nostro inviato
SEUL – La Corea del Sud ha chiuso ieri uno dei capitoli più difficili della sua storia moderna, eleggendo alla presidenza Lee Jae-myung, un candidato progressista che dovrà restituire al Paese una guida autorevole in un momento di grande incertezza, dopo sei mesi in cui la quarta economia asiatica è stata di fatto senza un leader. Quando a Seul erano passate da poco le 4 di mattina, le proiezioni basate sul 99,2% di schede già scrutinate davano Lee del Democratic Party of Korea (Dpk) in testa con il 49,3% dei voti contro il 41,3% del candidato conservatore del People Power Party (Ppp) Kim Moon-soo. L’affluenza del 79,4% è stata la più alta degli ultimi 28 anni.
Il risultato, meno largo delle previsioni, restituisce la guida del Paese a un presidente democraticamente eletto dopo l’impeachment di Yoon Suk Yeol, il leader conservatore che lo scorso 3 dicembre aveva sbalordito il mondo, prima instaurando la legge marziale e poi facendo marcia indietro, poche ore più tardi, dopo una rocambolesca seduta notturna dell’Assemblea nazionale. «La vittoria di Lee – spiega Byong-Chul Lee, un professore dell’Institute for Far Eastern Studies della Kyungnam University – segna la fine dell’intermezzo di estrema destra della Corea, una temporanea deviazione dai valori democratici e liberali».
Secondo tutti gli osservatori, la vittoria di Lee non rappresenta solo un ritorno alla normalità dopo mesi di continui avvicendamenti tra presidenti ad interim, ma anche una forte discontinuità con Yoon. «Lee – spiega Byong Jin Ahn della Global Academy for Future Civilizations della Kyung Hee University – sarà un presidente forte, anche grazie al fatto di avere dalla sua parte una solida maggioranza parlamentare».
Arringando i suoi sostenitori, il neo presidente ha promesso che non ci saranno altri colpi di Stato militari, che inizierà subito a occuparsi dell’economia e che tornerà a dialogare con la Corea del Nord.