Storie Web venerdì, Giugno 20
Notiziario

Per decenni, la biologia molecolare ha vissuto all’ombra di un dogma: per funzionare, una proteina deve avere una struttura tridimensionale stabile. Tuttavia, una classe di proteine sfugge a questa regola, pur svolgendo ruoli centrali nei processi cellulari: sono le proteine intrinsecamente disordinate (IdPs). Senza una forma fissa, queste proteine assumono configurazioni diverse in base all’ambiente, ai legami o a modifiche chimiche. Il loro comportamento dinamico le rende attori chiave nella regolazione cellulare e, quando qualcosa va storto, potenziali protagonisti delle malattie più complesse: cancro, Alzheimer, Parkinson, infiammazioni croniche.

Una recente review su Nature Reviews Drug Discovery definisce le IdPs come il prossimo grande ostacolo — ma anche opportunità nella scoperta di farmaci. Queste proteine, altamente flessibili e spesso prive di siti stabili di legame, sono state a lungo considerate “non trattabili” con gli approcci farmacologici classici. Tuttavia, grazie all’integrazione di tecniche sperimentali avanzate (come Nmr, Saxs, single-molecule Fret) e metodi computazionali evoluti, sta nascendo una nuova strategia: gli “i-mods”, piccoli composti progettati per legarsi alle IdPs, stabilizzandone o inibendone specifiche funzioni .

Lo studio italiano che sfida il paradigma

In questo scenario emergente si inserisce lo studio guidato da Barbara Zambelli, professoressa associata presso il dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, che ha individuato nella proteina Ndrg1 un bersaglio promettente contro il tumore al polmone. L’aspetto innovativo? Il team ha puntato non sulla parte “rigida” della proteina, ma su una regione terminale disordinata, responsiva a stimoli ambientali come la presenza di nichel – un noto cancerogeno presente in fumo e smog.

Ndrg1 è iperespresso in presenza di inquinanti e associato ad aggressività tumorale e resistenza ai trattamenti. La sua sequenza disordinata, in particolare, cambia forma in base alle interazioni con lipidi e metalli. Una modifica chiave è la fosforilazione, che altera la capacità della proteina di ancorarsi alle membrane cellulari. Inibendo questa funzione, si potrebbe spegnere un interruttore tumorale prima ancora che scatti.

Ma la vera rivoluzione è concettuale: «Lo studio abbandona il modello classico “chiave-serratura” per l’interazione farmaco-bersaglio, proponendo di colpire la mobilità stessa della proteina – spiega Zambelli, che ha presentato lo studio all’Università di Trieste in occasione del convegno della Divisione Chimica dei Sistemi biologici della Società Chimica Italiana – L’obiettivo è identificare molecole che, legandosi alla regione disordinata di Ndrg1, ne riducano la flessibilità, bloccandone la funzione patologica».

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