
“Sto in camera con Claude. O se preferite con ChatGPT o Copilot”. Quale che sia il chatbot basato sull’Intelligenza Artificiale che si sceglie, non c’è dubbio che il device diventa sempre più uno strumento di compagnia e di introspezione. Tanto da diventare, in epoca post-pandemia, un motivo di chiusura nei confronti del mondo che ci circonda. A rischio sarebbero soprattutto i giovani, tra i maggiori frequentatori di amicizie e rapporti virtuali con partner di IA, in una popolazione che raccoglie già oggi 810 utenti attivi settimanali di persone. E che in molti casi si affida a questi rapporti virtuali cercando semplicemente compagnia o magari veri e propri supporti di cura per la solitudine. Il motivo dell’attenzione agli adulti di domani è legato. A lanciare l’allarme, arrivando a segnalare che “potremmo assistere a una generazione che impara a formare legami emotivi con entità prive di capacità di empatia, cura e sintonia relazionale simili a quelle umane” sono Susan Shelmerdine del Great Ormond Street Hospital for Children di Londra e Matthew Nour, del dipartimento di psichiatria dell’Università di Oxford, dalle pagine del numero natalizio del British Medical Journal.
Solitudine in aumento
“Il tema della solitudine è in aumento e, pur non essendo di per sé una patologia, è spesso correlato allo sviluppo di disturbi psichici, come ad esempio la depressione – spiega Antonio Vita, presidente della Società Italiana di Psichiatria e professore di psichiatria all’Università di Brescia. La risposta a questa solitudine è molteplice e passa sempre più spesso dai social media e, oggi, anche dagli strumenti di Intelligenza Artificiale. Esiste – continua Vita – una relazione reciproca tra percezione di solitudine e uso di questi mezzi: è difficile per ora stabilire con certezza quale sia la causa e quale l’effetto, ma possiamo dire che l’utilizzo di queste tecnologie non migliora la solitudine e, in alcuni casi, la mantiene o la amplifica. Il motivo è che la relazione virtuale tende ad assecondare più che a confrontarsi e, soprattutto, può sostituire – invece che affiancare – una socialità reale, aperta e concreta”. D’altro canto, stando a quanto riporta una nota della rivista, nel Regno Unito, quasi la metà degli adulti dichiara di sentirsi sola occasionalmente, a volte, sempre o spesso. Ma soprattutto quasi una persona su dieci sarebbe vittima di questa solitudine cronica, che può trovare proprio nel rapporto con i chatbot una valvola di scarico. Basti pensare che una ricerca ha mostrato come quasi un adolescente su tre impieghi partner di IA per l’interazione sociale e come un 10% dei teen-ager consideri le conversazioni di IA più soddisfacenti di quelle umane. Risultato: un giovane su tre indicherebbe una preferenza per i compagni virtuali rispetto ai suoi amici fisici, quando si parla di tematiche serie.
Natale a rischio
Con una situazione “epidemiologica” di questo tipo viene da pensare che proprio nei periodi di vacanza si intensificino situazioni di chiusura al mondo esterno. Per qualcuno, infatti, la pausa natalizia si traduce in emozioni negative e, principalmente, tristezza/malinconia, ansia/stress, noia. Questo fenomeno, noto come Christmas Blues, porta ad un disagio emotivo diffuso durante le feste. E quindi proprio in questa fase che occorre prestare attenzione ad un attaccamento compulsivo agli amici virtuali. “Il periodo natalizio e le festività rappresentano un momento delicato: se le relazioni reali sono rarefatte o conflittuali, la sensazione di solitudine può acuirsi e il tentativo di ‘surrogarla’ con una relazione virtuale rischia di peggiorare la situazione – fa sapere il presidente degli psichiatri italiani. È un fenomeno che pensiamo tipico degli anziani – e per gli anziani resta un dramma – ma oggi è molto diffuso anche tra i giovani e i giovanissimi: nella fascia 15-24 anni, dai dati disponibili, è quella che ha registrato la crescita più marcata negli ultimi anni”.
Possibili strategie di cura
La chiave di lettura di questi fenomeni, tuttavia, non è solamente negativa. Gli stessi autori del rapporto segnalano come l’IA potrebbe forse favorire l’accessibilità a vere e proprie “terapie digitali” in grado di migliorare il supporto per chi soffre di solitudine. L’importante è procedere con studi che consentano di definire il perimetro numerico dell’impiego di questi strumenti (e non solo tra i giovani) oltre che di comprendere al meglio “i meccanismi alla base dei potenziali rischi delle interazioni uomo-chatbot, per sviluppare competenze cliniche nella valutazione dell’uso dell’intelligenza artificiale da parte dei pazienti – come scrivono gli esperti”. Insomma, ci vogliono tempo e prove cliniche per trovare aspetti positivi nel rapporto tra esseri umani, IA e chatbot. Anche se ovviamente si spera anche in questo approccio strategico, puntando sulla lotta al Christmas Blues” e più in generale alla sensazione di solitudine che può manifestarsi proprio in concomitanza delle feste. Gli esperti, comunque, frenano gli entusiasmi. “In realtà l’impiego di chatbot con finalità terapeutiche, talvolta ipotizzato, oggi è ancora sconsigliato e può risultare controproducente – conclude Vita. Rischia infatti di rinforzare l’isolamento e di attivare un circolo vizioso che porta a chiudersi progressivamente. Uscirne è possibile, ma richiede una presa di consapevolezza e, quando necessario, una richiesta di aiuto: anche l’intervento specialistico può essere molto efficace”.











