«Dato che i prodotti chimici sono componenti del 95% di tutti i manufatti, anche i dazi sui settori clienti avranno rilevanti ricadute negative», ragiona il presidente di Federchimica, Francesco Buzzella. È evidente che le tariffe americane «preoccupano molto, ma ancor più grave sarebbe un’escalation che sfociasse in una vera e propria guerra commerciale», continua Buzzella.
L’industria chimica in Italia è fortemente integrata nel commercio internazionale per ragioni che vanno ben oltre il mercato. «Nel 2024 il suo export ha superato i 40 miliardi di euro e, per molte imprese, i mercati esteri assorbono ben oltre la metà delle vendite. Gli Stati Uniti per la chimica italiana sono il quarto mercato», spiega Buzzella ed è quindi intuibile che tra le imprese cominci a serpeggiare una certa preoccupazione. Emersa persino nel negoziato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro che Federchimica firma insieme a Farmindustria e che riguarda 180mila addetti.
Il settore ha un valore della produzione di oltre 67 miliardi di euro nel 2023 e rappresenta il terzo produttore europeo (dopo Germania e Francia). Per diverse produzioni della chimica fine e specialistica, riveste posizioni anche più rilevanti. In alcuni casi, come nei principi attivi farmaceutici, vanta una leadership a livello mondiale. La sua quota sulla produzione europea è pari al 10% e si colloca al dodicesimo posto a livello mondiale. Le imprese chimiche attive sul territorio nazionale sono più di 2.800 e – con 3.700 insediamenti – e occupano quasi 113 mila addetti altamente qualificati. Il settore arriva da un triennio di contrazione della produzione, mentre per il 2025 si intravede una timida ripresa, con una crescita dell’1,2% che, però, è subordinata al contesto denso di incognite e di intense pressioni competitive.
Gli scambi internazionali non sono solo il frutto di legami di natura commerciale, ma sono dovuti anche «all’elevata specializzazione che rende altrettanto rilevante l’import da fornitori esteri. Normalmente il dazio Usa applicato ai prodotti chimici è pari al 6,5%. Con un aumento al 20%, le barriere commerciali di fatto più che raddoppiano mettendo a rischio l’integrità delle filiere», dice Buzzella. In particolare, per la chimica, però, «il pericolo maggiore deriva dai dazi sui prodotti cinesi che comportano un riorientamento verso il mercato europeo, aggravando la già forte pressione competitiva. Tra il 2021 e il 2024, infatti, la quota cinese sull’import italiano di chimica è già aumentata dal 5 al 16% e, a gennaio di quest’anno, l’import dalla Cina è raddoppiato», prosegue il presidente di Federchimica.
Iniziative che promuovono l’export in mercati alternativi sono certamente «auspicabili ma devono necessariamente andare di pari passo con una politica europea a tutela della competitività – osserva Buzzella -. Questo significa innanzitutto evitare costi asimmetrici rispetto ai concorrenti extra-europei a partire dal costo dell’energia. Più in generale, i costi della regolamentazione per l’industria chimica europea sono già arrivati a toccare il 13% del fatturato dal 4% del 2004. Se non si inverte la rotta, aumenteranno ancora rischiando di compromettere le produzioni europee».