Un periodo transitorio. È quello che prevede la riformulazione dell’emendamento contenuto del Ddl Concorrenza che fissa un tetto massimo del 5% alle commissione per i buoni pasto, quota che dovrà remunerare ogni eventuale servizio aggiuntivo offerto dagli emittenti dei ticket agli esercenti. Il nuovo testo prevede che per tutti i ticket emessi entro il 1° settembre del prossimo anno si continueranno ad applicare le vecchie condizioni, ovvero quelle già concordate con gli esercenti prima dell’entrata in vigore dell’emendamento inserito nel Ddl. Sempre il prossimo 1° settembre le società emittenti potranno recedere dai contratti di fornitura in essere senza indennizzi o oneri. Con questa riformulazione si congela lo status quo per tutte quelle fornitura di buoni pasto vendute con lo sconto ai datori di lavoro. Proprio questa scontistica ha portato alla creazione di un sistema di commissioni e servizi aggiuntivi che finivano per gravare sugli esercenti e chi incassava i buoni pasti come, per esempio, le insegne della Gdo. Nei casi peggiori gli esercenti pagavano fee che arrivavano al 20-25% senza dimenticare i lunghi tempi d’incasso. Questi extra costi poi venivano scaricati su tutti i clienti. Con l’entrata in vigore dell’emendamento contenuto del Dll Concorrenza ci sarà quel tetto massimo alle commissioni chiesto da anni dalle associazioni che rappresentano bar, ristoranti, pizzerie e il sistema della grande distribuzione. Con l’entrata in vigore della nuova normativa si aprirà un nuovo scenario che darà un maggiore ruolo di servizio ai buoni pasto. «In questo modo salviamo il mercato dei buoni pasto che, ricordo, si tratta di un servizio sostitutivo di mensa per i lavoratori – dice Aldo Mario Cursano, vice presidente di Fipe – Confcommercio -. All’interno della commissione con il tetto del 5% tutta la filiera, dai datori di lavori agli emettitori oltre ai pubblici esercizi che forniscono il servizio. Un risultato ottenuto anche grazie al passaggio all’elettronico».
Cosa cambia per gli esercenti
Con l’approvazione della normativa le commissioni applicate dagli emettitori dei ticket agli esercenti non potranno superare la soglia del 5%. Questo passaggio è scandito da alcune regole. Nel caso di nuovi esercizi convenzionati verrà applicata la nuova normativa mentre per tutti i “vecchi” convenzionati le commissioni light saranno applicate dal 1° settembre 2025. Si apre così una finestra per la transizione dal precedente al nuovo sistema. In altre parole per i buoni pasto emessi prima del 1° settembre 2025 e portati all’incasso verranno applicate le vecchie commissioni che attualmente possono arrivare anche fino al 20%. Per i ticket presentati successivamente varrà la regola della soglia massima del 5% di commissione che diventerà lo standard dal 1° gennaio 2026. Come si può sapere quando un ticket è stato emesso? Ogni buoni pasto, sia elettronico che cartaceo, contiene la data di emissione.
Cosa cambia per le società
L’emendamento prevede un passaggio soft tra i due regimi. Le società che emettono i buoni pasto possono rinegoziare con i datori di lavoro le condizioni di vendita o dal 1° settembre 2025 recedere dai contratti in essere senza indennizzi o oneri. Per i clienti si riducono così i margini per chiedere uno “sconticino”, vecchia abitudine del passato. Un certo spazio ci può ancora essere ma è minimo e coerente con la sostenibilità dell’intera filiera. Infatti a vantaggio degli emittenti c’è la forbice tra le aliquote Iva. Gli emettitori pagano una quota al 4% mentre vendono i buoni pasto con una Iva al 10%. Dal conseguente credito d’imposta c’è una discreta marginalità. Da non dimenticare che per i lavoratori il buono pasto è defiscalizzato fino ai 8 euro per i ticket digitali e fino a 4 euro per quelli cartacei. Per le aziende è decontribuito e interamente deducibile dal reddito d’impresa per i valori precedentemente ricordati.
La crisi del sistema
A fare emergere la fragilità del sistema tra sconti ed extra commissioni è stata, nel 2018, la bancarotta di Qui!Group, l’emittente di Genova guidata da Gregorio Fogliani, terminata con un buco di 600 milioni e oltre 3mila creditori prevalentemente bar, pizzerie, trattorie, negozi di alimentari, supermercati che avevano erogato cibo e prodotti pagato con i buoni pasto. Dopo avere incassato dai clienti i ticket gli esercenti si trovavano a dovere pagare commissioni record oltre ad essere penalizzati da lungi tempi d’incasso, anche a 6 mesi. Il sistema andò in crisi, tra le altre cose, quando iniziarono le segnalazioni di lavoratori pubblici e privati che non potevano emette spendere i Qui!Ticket, buoni emessi dalla società di Fogliani. Con un effetto domino i buoni di Qui!Group non furono più accettati da nessuno. All’epoca i reati contestati per il maxi crac erano di bancarotta fraudolenta, riciclaggio, truffa aggravata e autoriciclaggio.