Accaldatissimi sotto i cappelli dove campeggia «Roma» in lettere fluo e infilati nelle T-shirt con il Colosseo, cercando un varco per poter cogliere almeno uno zampillo della Fontana di Trevi, i turisti contemporanei non sospettano che proprio su quella piazza un secolo e mezzo fa si ritrovavano i loro colleghi antenati, bramosi di entrare nel palazzo Castellani, che sorge ancora sopra la più antica farmacia della città, forse d’Europa. Era stato fatto costruire dalla famiglia omonima di antiquari e orafi che aveva inventato il souvenir archeologico di lusso, gioielli identici a quelli dell’antichità etrusca e romana, ma non solo, che conquistavano le signore del Nord Europa scese a Roma in cerca di vestigia imperiali anche da indossare. Nel 1880 la città era l’infante capitale del regno d’Italia e sia dalle sue vie sconvolte dagli scavi per erigere emblemi edilizi della nuova modernità, sia dalle campagne, sgorgavano reperti, fra cui gioielli, smerciati anche attraverso canali abbastanza anarchici, per esempio nella famosa piazza Montanara, sotto la Rupe Tarpea del Campidoglio, che ora non esiste più.
Verso il 1830 Fortunato Pio Castellani, fondatore della dinastia e appassionato collezionista, aveva raccolto l’invito dell’amico e duca Michelangelo Caetani di riprodurre i gioielli antichi. Insieme condussero ricerche appassionate che permisero di recuperare tecniche millenarie, persino in sperduti borghi marchigiani dove misteriosamente erano state salvate dall’oblio e riuscendo a riprodurre il celebre «giallone» degli ori etruschi. Inventarono anche un punzone-monogramma con due C incrociate, piuttosto identico a quello che Coco Chanel adotterà negli anni Venti. Il successo fu immediato, alimentato anche dal talento commerciale della seconda generazione Castellani, soprattutto del rivoluzionario figlio Alessandro: mandato in esilio dal papa a Parigi per aver preso parte alla Repubblica Romana, aprì una filiale sugli Champs-Élysées e vendette gioielli anche a Napoleone III.
Negli stessi anni a Roma arrivava da Oriente l’altrettanto intraprendente Sotirio Bulgari, abile argentiere e commerciante nato nell’Epiro che vendendo sofisticati bibelot ai ricchi turisti aveva fatto fortuna già a Napoli. La dovette però lasciare perché il suo negozio fu svaligiato e dunque arrivò a Roma, dove riuscì ad aprire il suo primo negozio a via Sistina, cuore della zona nuovo ritrovo del bel mondo internazionale e turistico. Anche Bulgari amava i gioielli antichi, come dimostra la sua sontuosa collana in argento con monete con i simboli delle sette isole ioniche greche, e sicuramente entrò in contatto con i Castellani, condividendo proprio la passione per le monete antiche inserite nei gioielli. Quella collana è oggi uscita dagli archivi Bulgari per rifulgere nuovamente nella mostra Una storia infinita. Arte Orafa al Museo Etrusco di Villa Giulia, l’istituzione che nel 1919 ricevette in eredità dall’ultimo dei Castellani, Alfredo, tutta la collezione di ori antichi e moderni della famiglia, che concluse definitivamente i suoi affari nel 1927.
In uno scambio di amabili corrispondenze, a distanza di un secolo e mezzo Bulgari e Castellani si ritrovano, poiché la maison, nel frattempo diventata marchio di successo globale, tramite la sua giovane e attivissima Fondazione ha deciso di finanziare diversi progetti del Museo (seguite con attenzione il lavoro della vulcanica direttrice, Luana Toniolo) fra cui la nuova illuminazione della sala dove gli Ori Castellani sono custoditi, insieme gli antichi con i moderni, secondo le precise condizioni del lascito. Un intervento necessario e urgente, poiché la luce di ora non rende loro giustizia, anzi li affligge, e che promette di accendere anche nuovo interesse su questa famiglia così peculiare ma nota perlopiù a specialisti e appassionati.
Non che gli Ori Castellani abbiano trascorso nell’oblio la loro lunga esistenza. Tutt’altro: nella notte di Pasqua 2013 furono trafugati dal museo in una rocambolesca azione che coinvolse un fumoso antiquario romano, una facoltosa signora russa, una banda di poco esperti criminali di Aprilia, un bar di periferia sulla via Portuense, e che si risolse fortunatamente con il recupero dell’intera refurtiva, ma solo ad anni di distanza. Solo nel 2019, infatti, in punto di morte, uno dei ladri consegnò alla moglie, con l’indicazione di riconsegnarlo, l’ultimo pezzo mancante ma uno dei più preziosi, una collana con smeraldi incisi, rubini e perle. Era uno dei celebri souvenir Castellani, che inventarono anche una spilla souvenir di gusto medievale, con il tipico e favoloso micromosaico romano che formava il palindromo «Amoroma». Realizzata da bravi artigiani del XXI secolo, fra i turisti avrebbe un successo clamoroso anche oggi, oltre al sospirato potere di scalzare i magneti da frigo con la carbonara.