Storie Web mercoledì, Marzo 19
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La demenza frontotemporale, la malattia che ha colpito l’attore Bruce Willis, è una patologia neurodegenerativa ancora poco conosciuta con la quale si trovano a convivere circa 50.000 persone solo in Italia. Chi ne soffre vede peggiorare nel tempo le proprie capacità cognitive, il linguaggio e il comportamento, rendendo estremamente difficile la vita quotidiana sia per i pazienti che per le loro famiglie. Ora, però, una nuova ricerca condotta presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma offre una speranza: uno studio ha dimostrato che un trattamento a base di un composto capace di agire sul sistema endocannabinoide potrebbe rallentare la progressione della malattia.

Una malattia che cambia la vita

La demenza frontotemporale colpisce circa 50.000 persone in Italia e oltre 350.000 nel mondo. È la prima causa di demenza nei soggetti sotto i 65 anni. Non esistono cure efficaci, solo terapie per gestire i sintomi.

Colpisce soprattutto persone tra i 45 e i 65 anni, e i primi sintomi non sono legati alla memoria, ma a profondi cambiamenti nel comportamento e nella capacità di comunicare. I pazienti possono diventare apatici, aggressivi o perdere il controllo sulle proprie emozioni. Per i familiari e i caregiver, assistere una persona con questa malattia è una sfida enorme: spesso si trovano soli a dover gestire situazioni imprevedibili, senza cure specifiche a disposizione.

Ad oggi, e la famiglia di Bruce Willis si è fatta portavoce anche di questo, non esistono terapie in grado di modificare il decorso della malattia e l’unico trattamento disponibile si basa esclusivamente sul controllo dei sintomi che possono variare da soggetto a soggetto. Negli ultimi anni una serie di studi e ricerche hanno supportato l’idea che la neuroinfiammazione sia un elemento chiave nel processo che porta a sviluppare la demenza frontotemporale e questo potrebbe aprire la strada a nuovi farmaci mirati.

Il legame tra neuroinfiammazione e demenza frontotemporale

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno evidenziato che la neuroinfiammazione gioca un ruolo centrale nella progressione della demenza frontotemporale. Questo processo infiammatorio cronico nel cervello contribuisce alla degenerazione delle cellule nervose, aggravando i sintomi cognitivi e comportamentali. Ridurre l’infiammazione potrebbe quindi rappresentare una strategia fondamentale per rallentare la malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Su questa ipotesi che si basa un nuovo studio della Fondazione Santa Lucia IRCCS.

Un nuovo trattamento potrebbe fare la differenza

Lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Brain Communications e guidato dal Prof. Giacomo Koch vice-direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e ordinario di Fisiologia presso l’Università di Ferrara, che ha visto come primo autore la Dott.ssa Martina Assogna, ha analizzato gli effetti della molecola co-ultraPEAlut su 50 pazienti. Il trattamento, assunto per sei mesi, ha mostrato risultati promettenti: i pazienti che hanno ricevuto la terapia hanno visto rallentare la progressione della malattia, mantenendo meglio le proprie autonomie quotidiane e migliorando le capacità di linguaggio rispetto a chi ha ricevuto solo un placebo.

Negli ultimi anni, una nuova molecola chiamata co-ultraPEAlut, una formulazione della Palmitoiletanolamide (PEA) combinata con l’antiossidante flavonoide luteolina (Lut) e sottoposta a un processo di ultramicronizzazione, è emersa come possibile terapia per i disturbi neurodegenerativi legati alla demenza frontotemporale. Questa combinazione, agendo sul sistema endocannabinoide, esercita proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive, che potrebbero aiutare a contrastare la progressione della malattia.

Uno studio pilota condotto nel 2020 aveva già evidenziato benefici sulla funzione cognitiva nei pazienti trattati con co-ultraPEAlut per un mese. Ora, il nuovo studio clinico ha confermato che il trattamento per 24 settimane può rallentare il deterioramento cognitivo e funzionale, migliorando anche l’autonomia nelle attività quotidiane.

Una speranza per le famiglie

Silvana Morson, presidente dell’AIMFT (Associazione Italiana Malattia Frontotemporale), sottolinea l’importanza di questi risultati: “Per le famiglie che convivono con questa malattia, ogni speranza è preziosa. Sapere che la ricerca sta facendo passi avanti è un sollievo e ci spinge a continuare a lottare per ottenere maggiori attenzioni e risorse per i pazienti.”

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