E’ allarme tra gli esperti per l’incremento dei casi di “fegato grasso”. La steatosi epatica, o Masld (Metabolic dysfunction-associated steatotic liver disease), colpisce circa il 38% della popolazione adulta a livello globale, il 15 per cento in più rispetto alle diagnosi di vent’anni fa. A fronte di questa diffusione, la Masld conquista il primato della malattia epatica più diffusa al mondo, oggi riconosciuta come una vera emergenza di salute pubblica. E’ una patologia caratterizzata da un accumulo abnorme di lipidi nelle cellule epatiche (epatociti) che può avere gravi conseguenze, in quanto può evolvere in cirrosi epatica e favorire l’insorgenza di tumori del fegato. Il tema è stato al centro del XVII Convegno nazionale del Club epatologi ospedalieri (Cleo) che si è appena chiuso a Foggia, intitolato “L’epatologia nell’era dell’Intelligenza Artificiale: spunti e riflessioni”, che ha riunito esperti da tutta Italia per discutere delle novità in questo settore.
“In Italia – spiega Rodolfo Sacco, direttore della Struttura Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva del Policlinico di Foggia e Presidente Cleo – si stima che tra il 20-40% della popolazione presenti la malattia da fegato grasso, in pratica 1 italiano su 2-5. La forma più frequente di steatosi non correlata all’alcol è quella identificata con l’acronimo Masld e associata a una o più condizioni di disfunzione metabolica come obesità, diabete mellito di tipo 2, ipertensione arteriosa, alterazione dei lipidi, in particolare dall’incremento dei trigliceridi”.
Gli esami e i controlli per diagnosticare la patologia
La steatosi epatica è una malattia subdola, in quanto non dà segni o sintomi e pertanto è spesso misconosciuta. E non è solo un problema degli adulti. Circa il 3-12% dei bambini normopeso ha il fegato grasso e tale frequenza sale al 70% nei bambini sovrappeso o obesi. “Per formulare la diagnosi – specifica il professor Sacco – bisogna partire da una valutazione degli esami del sangue, in particolare dei valori degli enzimi del fegato come le transaminasi e gli enzimi di colestasi, ovvero GGT e fosfatasi alcalina, e di quelli che riguardano l’assetto metabolico come glicemia, colesterolo, trigliceridi, Ldl, e Hdl). E’ necessaria anche l’ecografia dell’addome”. E’ fondamentale inquadrare la patologia e monitorarla nel tempo. Il “fegato grasso”, soprattutto se non diagnosticato nei pazienti maggiormente a rischio quali i diabetici e gli obesi può favorire l’insorgenza di uno stato infiammatorio del fegato – l’epatite – che si associa all’infarcimento grasso già presente. “Questa condizione – aggiunge lo specialista – viene definita internazionalmente come Steatoepatite Associata ad alterazione Metabolica e conosciuta con l’acronimo Mash, dall’inglese Metabolic-associated steatohepatitis, ed è quella che può progredire verso la cirrosi epatica e condizionare l’insorgenza, nel fegato cirrotico, del tumore del fegato”. Oggi il trattamento della Mash può contare su un nuovo farmaco per prevenire l’insorgenza della cirrosi epatica che agisce come agonista selettivo del recettore beta dell’ormone tiroideo e riduce il grasso epatico, l’infiammazione e la fibrosi migliorando anche i livelli di colesterolo Ldl e dei trigliceridi.
I corretti stili di vita e il ruolo dell’IA per la medicina personalizzata
Per prevenire il “fegato grasso” e i conseguenti danni d’organo è fondamentale lo stile di vita. “E’ raccomandata una dieta sana e bilanciata, che non deve essere ricca di grassi, zuccheri e alimenti ultra processati. Il modello è quello della dieta mediterranea. Imprescindibile inoltre è l’attività fisica. Bastano almeno 30 minuti al giorno di camminata a passo svelto”, aggiunge Sacco. La diagnosi e la cura del “fegato grasso” e in generale delle patologie epatiche dispongono di nuove armi anche grazie allo sviluppo delle tecnologie e dell’impiego dell’Intelligenza Artificiale. “Un’applicazione comune dell’IA in ambito medico – sottolinea il professore – è la diagnostica per immagini assistita da computer. Questa tecnologia che analizza gli esiti di risonanze magnetiche, tac o ecografie può supportare i medici nell’effettuare diagnosi più accurate e rapide, identificando anomalie o pattern con immagini radiologiche, scansioni Tc e Rm e test di laboratorio”. L’IA può analizzare i dati dei pazienti, come la loro storia clinica e genetica e le risposte ai trattamenti precedenti, per suggerire piani terapeutici personalizzati e può migliorare molti aspetti anche in termini di aderenza terapeutica.
Un nuovo strumento per l’analisi delle biopsie
Proprio quest’anno, l’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) ha dato il via libera all’uso di un innovativo tool basato sull’IA per analizzare le biopsie del fegato. Addestrato su oltre 100.000 annotazioni di 59 patologi e su più di 5.000 biopsie provenienti da nove trial clinici, il software ha dimostrato di valutare con elevata affidabilità infiammazione e fibrosi, riducendo la variabilità diagnostica rispetto allo standard convenzionale (confronto tra tre patologi). In Italia è in partenza lo studio nazionale Ita-Masld, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità con la partecipazione del Cleo. L’obiettivo è raccogliere dati di real world evidence in modo prospettico e capillare. «L’innovazione tecnologica rappresenta una svolta epocale per la medicina e la nostra comunità epatologica deve farsi trovare pronta a coglierne i frutti. Le nuove tecnologie come l’Intelligenza Artificiale, che non potrà però mai prescindere dall’Intelligenza Naturale, ci offrono opportunità senza precedenti per individuare le malattie in fase precoce e personalizzare le cure, cambiando in meglio la storia naturale di queste patologie”, conclude Sacco.