Storie Web giovedì, Maggio 22
Notiziario

Con 502 imprese attive, quasi 17mila addetti di cui oltre la metà laureati, e 130 milioni di euro investiti in ricerca e sviluppo (pari al 12,9% del totale nazionale), l’Emilia-Romagna si conferma snodo strategico per l’industria dei dispositivi medici. Una filiera che in regione genera 660 milioni di euro di produzione annua, impiega il 13% della forza lavoro nazionale del settore e ha nel distretto di Mirandola, noto come la “Silicon valley” biomedicale tricolore, il primo polo europeo dei dispositivi monouso, terzo al mondo dopo Minneapolis e Los Angeles. Un’eccellenza non solo in termini di volumi, ma di know-how tecnico e capacità di integrazione tra manifattura, ricerca e sanità che ha richiamato in mezzo secolo le più grandi multinazionali straniere.

Il roadshow in sei tappe per l’Italia

È da qui, da Modena, che Confindustria Dispositivi Medici ha scelto di far partire il roadshow nazionale “Insieme per un Paese in salute”, che celebra i 40 anni dell’associazione. «Non è una scelta simbolica – spiega il presidente Nicola Barni – ma il riconoscimento di un modello industriale avanzato, resiliente e radicato. A Mirandola convivono grandi gruppi e Pmi innovative, università e centri di ricerca, alta formazione tecnica e manifattura evoluta. È un laboratorio industriale dove nascono soluzioni ad alto valore aggiunto in grado di competere nel mondo. La nostra priorità ora è valorizzare queste aggregazioni e rafforzare l’identità strategica del settore per l’Italia».

I numeri della regione

Secondo il Centro Studi di Confindustria Dispositivi Medici, il 68% delle imprese biomedicali emiliano-romagnole opera nella produzione diretta, un record in presenza manifatturiera. Così come è fuori norma il dato di quasi il 9% degli occupati complessivi che lavora in R&S, con un livello di qualificazione tra i più alti dell’intera manifattura (il 51,6% dei lavoratori ha almeno una laurea, il 3,4% un dottorato) e con un equilibrio di genere anomalo per un settore percepito come tecnico e maschile: il 44% della forza lavoro è femminile, in un settore ancora. «Investire nei dispositivi medici significa investire nella salute, e quindi nella competitività dell’intero sistema Paese», ribadisce Barni. «È una filiera che tocca tutti gli ambiti della cura, dalla chirurgia alla diagnostica, dalla cardiologia ai trattamenti domiciliari. Eppure, oggi, viene ancora trattata come una voce marginale del sistema sanitario, anziché come leva strategica per l’industria e la ricerca».

Le minacce in arrivo da Roma e Bruxelles

Il settore, però, è oggi messo a rischio da una normativa europea troppo rigida, da una fiscalità penalizzante e da un meccanismo «folle agli occhi di qualsiasi investitore internazionale, qual è il payback», è il coro all’unisono che si leva dalla sede di Confindustria Emilia area Centro, che ha ospitato la prima tappa del roadshow. «Le proposte per superare il payback le abbiamo già presentate al Governo – afferma il neodirettore generale di Confindustria Dispositivi Medici, Guido Beccaguti – ma serve una svolta politica. In Germania ho incontrato pochi giorni fa il mio omologo e mi ha detto che il settore è stato riconosciuto come strategico dal nuovo cancelliere Merz. In Italia ci troviamo invece a fare i conti con una norma iniqua e una tassazione ulteriore dello 0,75% sulle forniture ai privati». A rincarare le difficoltà sono le rigidità regolatorie europee: «Non possiamo aspettare due anni per un marchio CE. Le agenzie regolatorie stanno ragionando su fast track, serve un allineamento vero tra politica industriale e regolazione sanitaria».

Eccellenza modenese a rischio

L’allarme risuona fragoroso nel distretto modenese. «A Mirandola realizziamo l’80% delle macchine per il cardiopolmonare a livello mondiale. Qui c’è un know-how unico sulle materie plastiche e sulla produzione medicale. Ma servono regole che permettano a chi ha idee buone di trasformarle in impresa in tempi competitivi», rimarca Luciano Fecondini, fondatore di Medica: «Oggi innovare costa cinque volte più tempo che in passato. Noi ce l’abbiamo fatta perché abbiamo superato la soglia critica, ma molte Pmi non possono reggere l’urto di una MDR (Medical Device Regulation in vigore dal 2021, ndr) è pensata come fosse un regolamento farmaceutico». Per Franco Poletti, manager storico del gruppo Livanova, «Mirandola si conferma un centro produttivo globale, noi da qui gestiamo il business cardiopolmonare con 1.770 dipendenti e investimenti in R&S che valgono il 10% degli 800 milioni di euro di fatturato. Il distretto ha un know-how unico sulle materie plastiche e sull’integrazione industriale. Ma il rischio è che queste competenze si disperdano se non si garantisce continuità alla filiera».

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