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Notiziario

L’Italia invecchia e la non autosufficienza è, già oggi, una delle principali emergenze sociali e sanitarie. Un quarto della popolazione ha più di 65 anni, oltre 4 milioni di persone vivono in condizioni di non autosufficienza, e l’allungamento della vita comporta in media 13–15 anni di perdita progressiva di autonomia.

Tuttavia, solo una minoranza di anziani riceve un supporto pubblico strutturato, mentre la maggior parte dell’assistenza grava sulle famiglie: oltre 2,5 milioni di anziani non autosufficienti sono accuditi da caregiver informali e più di 1,1 milioni di badanti suppliscono all’assenza di un’offerta professionale e organizzata.

Questa fragilità sistemica ricade anche sul Ssn, con un aumento degli accessi impropri e una gestione inefficace delle cronicità. Il risultato è un sistema che rincorre l’emergenza.

La riforma non colma il divario

Con la Legge 33/2023 e il D.lgs 29/2024, l’Italia ha compiuto un importante passo in avanti, riconoscendo la non autosufficienza come priorità del sistema di welfare e introducendo strumenti come i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali, la Prestazione Universale, i Punti Unici di Accesso (Pua) e i Piani Assistenziali Individualizzati.

Tuttavia, il divario resta ampio. Le risorse sono limitate e i criteri di accesso selettivi: la nuova Prestazione Universale – un contributo economico sperimentale con una dotazione di 250 milioni di euro annui – nel 2025 ha raggiunto appena 2.000 beneficiari. Di fatto, il carico dell’assistenza continua a ricadere in larga parte su caregiver familiari e spesa privata.

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