I controlli sull’utilizzo degli aiuti pubblici da parte di società, enti, organismi o fondazioni scatteranno quando l’assegno arrivato dalla Pa supera il milione di euro oppure il 50% di entrate, ricavi, o valore della produzione. Dal calcolo però andranno esclusi i corrispettivi di beni e servizi venduti alle Pa, i risarcimenti, le indennità, i crediti d’imposta e i contributi «destinati a una generalità di soggetti» senza una targa specifica. Fuori dal raggio d’azione restano anche il terzo settore e tutte le realtà che ricevono sostegni dagli enti locali: il check up dovrà riguardare infatti «i contributi a carico dello Stato, erogati da amministrazioni centrali dello Stato o da società da queste direttamente possedute in misura maggioritaria, con esclusione delle società quotate e loro controllate, o da enti pubblici non economici vigilati dalle predette amministrazioni centrali». Il contatore dovrà considerare in modo cumulativo i sostegni ricevuti a partire dal 1° gennaio scorso, quindi senza effetti implicitamente retroattivi. La prima relazione degli organi di controllo delle aziende e delle altre realtà aiutate dal bilancio pubblico andrà quindi scritta e inviata alla Ragioneria generale entro il 30 aprile 2026.
Sotto esame
Il nuovo sistema di controllo statale prende forma nel decreto di Palazzo Chigi chiamato ad attuare una delle norme più discusse dell’ultima legge di bilancio, quella che nella prima versione era arrivata a prevedere gli ispettori ministeriali nelle società e negli enti destinatari di fondi pubblici dai 100mila euro in su. Un confronto acceso nella maggioranza, con Forza Italia all’attacco di quella che aveva fatto evocare al vicepremier Antonio Tajani il rischio di una «trasformazione del Mef nella Stasi», aveva iniziato ad addolcire il meccanismo, cassando l’idea di sguinzagliare in giro per l’Italia i dipendenti ministeriali e assegnando il compito ai revisori e ai sindaci delle singole realtà sostenute a carico dei contribuenti. Ora la bozza di decreto, che nei giorni scorsi ha ricevuto il parere del Consiglio di Stato, completa l’opera con altri tre robusti cucchiaini di zucchero: il primo alza la soglia a un milione di euro o al 50% del bilancio nelle realtà più piccole, il secondo esclude dal conteggio le voci come i crediti d’imposta che avrebbero imposto per esempio i controlli extra alle aziende private titolari di investimenti in Transizione 4.0 (o nel Superbonus) e il terzo toglie d’impiccio il Terzo settore, spesso inevitabilmente dipendente da aiuti pubblici.
Verifiche incrociate
Per le realtà che saranno soggette ai nuovi obblighi, i controlli di fatto saranno incrociati con un meccanismo che guarda a monte e a valle degli aiuti. Chi li eroga, cioè appunto Stato, ministeri, enti nazionali e società controllate ma non quotate, dovrà comunicare alla Ragioneria generale le società e gli altri organismi oggetto di aiuto. Questi ultimi dovranno mandare entro il 30 aprile in via telematica (con modalità che saranno stabilite da una direttiva Mef) la loro relazione allo stesso indirizzo, dove quindi si potranno effettuare le verifiche incrociate.
Il rubinetto si chiude
Le relazioni, per rispondere all’obiettivo rivendicato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di avere un monitoraggio effettivo di dove finiscono le risorse pubbliche, dovranno «accertare che l’utilizzo dei contributi è avvenuto nel rispetto delle finalità per i quali sono stati concessi ovvero ha dato luogo alla realizzazione dei progetti previsti». Se questa certificazione non ci sarà, o se la relazione non sarà inviata in tempo, il bilancio pubblico chiuderà il rubinetto dell’aiuto, interrompendo anche le eventuali rate successive di un sostegno pluriennale.