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Nell’autobiografia dell’ex portiere del Tottenham c’è anche un capitolo interessante dedica all’esperienza di Antonio Conte a Londra. “C’è una cosa che non dimenticherò mai”.

Earning my Spurs è il libro dell’ex portiere del Tottenham, Hugo Lloris. È un compendio di vita e di carriera per il portiere che in quel club ha giocato per dodici anni. In alcuni estratti del testo – condivisi dal tabloid The Guardian – ci sono frammenti che arrivano direttamente dallo spogliatoio e compongono il mosaico di quel che accade nelle segrete stanze. Non dice proprio tutto tutto, ma quel che lascia trapelare è già abbastanza per capire quel che abitualmente non si vede (né si può vedere). E in quel “alla fine ci siamo tappati le orecchie” c’è la sintesi perfetta di cosa vuol dire avere a che fare con un martello come Antonio Conte alla guida tecnica.

Non è solo epica del calcio né racconto mitologico (come nel caso degli allenamenti massacranti fino al vomito), ma la pura realtà di un professionista che – com’è risaputo – vive con intensità emotiva e passione sportiva l’incarico chiamato a ricoprire. È così, non sa essere altro. Vuole vincere, o almeno provarci dando tutto. “La vittoria era qualcosa che gli dava energia ma gli era molto difficile controllare la frustrazione soprattutto in occasione delle sconfitte. Se aveva un tormento interiore, lo portava fuori e tutti dovevano condividerlo… in quel caso tutto poteva diventare molto complicato”.

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Per essere più chiaro, Lloris, spiega anche il modo in cui Conte cambiava stato d’animo, sopraffatto dall’idea che l’euforia per un successo era concessione che poteva permettersi solo per un po’ di tempo. Poi bisogna dimenticare tutto in fretta e ripartire. “Mi ha confessato che la sua felicità dopo aver vinto dura un’ora e basta”. Il resto fa parte di un copione tattico che a un certo punto è sembrato andare stretto agli stessi calciatori: “La rigidità di un certo modo di giocare è stata sicuramente un beneficio all’inizio – ha aggiunto Lloris – ma dopo un po’ gli avversari hanno capito come affrontarci e per noi è diventato difficile vincere. E per i giocatori di maggiori di maggiore estro era difficile adattarsi ai suoi schemi”.

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C’è un episodio in particolare che l’ex estremo difensore del Tottenham ricorda bene e fa riferimento all’ira funesta dell’allenatore che poteva manifestarsi in qualsiasi momento di una partita tanto da spingere “gli esterni a preferire giocare dalla parte opposta alla panchina”. Ma questo è niente rispetto alla prima sconfitta sotto la sua guida: “Perdemmo per 2-1 contro l’NS Mura in Slovenia in Conference League. Anche se non giocavo, come tutto il gruppo mi sono dovuto prendere la mia porzione di urla e rimproveri, proprio come tutti gli altri”.

Dopo la sconfitta a Maribor, aveva gridato: “Mura, Mura, chi è Mura?! Abbiamo perso contro Mura!”, mi sembra di sentirlo ancora. Come finì? “Chiudemmo quarti, a metà strada tra la natura esigente di Conte e un po’ di autogestione perché, a furia di essere sgridati, alla fine ci siamo tappati le orecchie”.

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