Sessantacinque miliardi aggiuntivi di giro d’affari e 300mila posti di lavoro in più entro il 2030. Aumentare del 15% il fatturato annuo e l’occupazione della bioeconomia, portandoli rispettivamente dai 437,5 miliardi del 2023 a 503,1 miliardi e da 2 milioni a 2,3 milioni di posti di lavoro, è l’obiettivo che si propone il nuovo Piano di implementazione 2025-2027 della Strategia italiana per la bioeconomia BIT II, appena approvato dal gruppo nazionale ad hoc istituito a Palazzo Chigi e coordinato da Fabio Fava, ordinario di Biotecnologie industriali e ambientali presso la scuola di ingegneria dell’Università di Bologna.
In cinque anni la bioeconomia italiana è cresciuta del 20%
Nel sistema della bioeconomia – che comprende e interconnette le attività che utilizzano bio-risorse rinnovabili del suolo e del mare per produrre cibo, materiali ed energia – l’Italia vanta già diversi primati: siamo al top in Europa per ricchezza di biodiversità e di prodotti di qualità, secondi per presenza nei progetti competitivi di ricerca e innovazione della Commissione Ue. «Dal 2018 al 2023 la nostra bioeconomia è cresciuta del 20%, nonostante la pandemia», spiega Fava al Sole 24 Ore. «Nell’anno più critico, il 2020, ha perso meno di altri settori industriali. Significa che è un comparto resiliente, profondamente radicato sui territori».
La bioeconomia nel Piano Mattei
Il documento, in 64 pagine, aggiorna il Piano d’azione attuativo 2020-2025 alla luce delle transizioni digitale e ambientale centrali nel disegno europeo contenuto nel Next Generation Eu e declinata nei diversi Pnrr. «È il frutto di un assessment attento ai successi – sottolinea Fava – ma anche alle criticità e al mutato contesto internazionale, con gli Stati Uniti e la Cina che hanno previsto investimenti massicci nella produzione di prodotti da fonti biobased. Per questo è fondamentale che l’Italia sfrutti a pieno il suo potenziale». E anche che faccia valere il suo ruolo nel Mediterraneo e in Africa: la bioeconomia può essere inserita nel Piano Mattei per supportare i Paesi africani nell’adozione di alcune pratiche di bioeconomia rigenerativa e sostenibile già ottimizzate in Italia. Un gruppo di lavoro apposito definirà i dettagli del progetto.
Le priorità: filiere più interconnesse e norme più flessibili
Come procedere per centrare i target e sostenere la crescita del settore? Fava sintetizza: «A livello macro la priorità è interconnettere maggiormente le filiere che compongono la bioeconomia, quella agroalimentare da una parte e quella non alimentare dall’altra, e tarare di più ogni intervento sulla specificità dei territori: colline, montagne, ecosistemi». Per il comitato di Palazzo Chigi – composto da cinque ministeri (Agricoltura, Istruzione, Ambiente, Imprese e Università, dall’Ispra, dalle Regioni, da Svimez, e dai quattro cluster tecnologici nazionali: agrifood, bioeconomia circolare, mare e foresta-legno) – è altrettanto urgente «migliorare il quadro normativo e promuovere una politica di incentivazione a lungo termine, in grado di valorizzare i punti di forza dell’Italia in termini di innovazione e standard di qualità elevati». Lo sguardo va anche a Bruxelles: «Vanno riconosciuti come strategici i prodotti ottenuti da bioraffinerie che raffinano materiali non alimentari. Le bioplastiche e i biomateriali non possono essere trattati, a livello legislativo, come i preparati da petrolio: bisogna valorizzare la riduzione di emissioni che garantiscono e, per alcuni, la biodegradabilità».
Le cinque azioni operative suggerite
Cinque le azioni operative proposte nel Piano: si va dal lancio di interventi pilota a livello locale a supporto della bioeconomia nazionale alla promozione di politiche, standard, etichettature, certificazioni e azioni orientate al mercato emergente, compresi incentivi fiscali e finanziari, per potenziare la produzione di prodotti innovativi e di energia a partire da tutte le fonti biologiche disponibili; dalla valorizzazione della biodiversità, anche in funzione di adattamento ai cambiamenti climatici, alla ricognizione territoriale per coprogettare in modo più efficace interventi mirati per la rigenerazione e l’ammodernamento delle catene di valore locali della bioeconomia, fino alla promozione della formazione e dell’imprenditorialità nel settore. Mobilitare l’industria è indispensabile per trasferire conoscenze e know how.