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I Pinguini Tattici Nucleari hanno pubblicato nelle scorse ore il loro nuovo album Hello Word, anticipato da Romantico ma Muori e Islanda. Qui l’intervista alla band, in attesa del tour 2025 negli stadi.

Pinguini Tattici Nucleari, foto di Adriana Tedeschi

I Pinguini Tattici Nucleari hanno pubblicato nelle scorse ore il loro nuovo album Hello World, a due anni dall’uscita di Fake News. Il progetto, anticipato dai singoli Romantico Ma Muori e Islanda, anticipa il grande tour estivo, il secondo negli stadi per la band, che partirà il prossimo giugno da Campovolo. Nel progetto, tanti temi toccati: dal rapporto con la tecnologia e l’alienazione della nuova generazione, al senso di collettività, fino ad arrivare al burnout e al tema del femminicidio con Migliore. La canzone, scritta da Riccardo Zanotti, traduce musicalmente il femminicidio di Giulia Tramontano, ma si interroga anche sul ruolo dell’educazione affettiva e sulla responsabilità sociale di tutti gli uomi. Qui l’intervista alla band.

Si parla molto di rapporto con la tecnologia, dalla concezione del titolo a Nativi Digitali: mi piacerebbe capire anche l’altro lato della medaglia, ovvero se pensate che la tecnologia, come l’intelligenza artificiale, possa aiutare nella produzione musicale?

Allora sicuramente l’intelligenza artificiale può aiutare in tanti tipi di arte diversa anche nella musica. Anche a livello didattico, per esempio secondo me, perché si può sperimentare tanto e dando dei semplici comandi in poco tempo, avere enormi risultati e numerosi risultati. Dall’altra parte, quello che penso che si perda utilizzando troppo l’intelligenza artificiale nella composizione, quindi parlo di autori, compositori e via dicendo, è la bellezza della deviazione dalla norma, dell’errore. Perché certo, anche un’intelligenza artificiale può sbagliare, fare qualcosa fuori fuoco: significa però che è stata programmata in quel modo, quindi l’errore è sempre umano, alla fonte.

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E invece l’errore umano?

L’errore più puro, per esempio il suono di un accordo sbagliato sulla chitarra o di uno che inventa qualcosa di diverso. Penso sempre alla chitarra distorta, per esempio, che nasce da un amplificatore rotto. Ecco, la visione in quell’errore può diventare un trend, può diventare qualcosa di bello, può diventare un intero genere musicale, magari il rock. Quella cosa secondo me si perde perché affondando tutto il futuro sul passato, su quello che c’è già stato. Ricordiamoci che l’intelligenza artificiale deve avere un sacco di dati, per fare in modo che lei possa creare, rimodulare e rivedere. Si perde un po’, almeno secondo me, la progressione naturale delle cose. Si perde l’invenzione che deriva spesso dall’errore. Quindi sì, è utile, non va demonizzata. Però non vorrei ritrovarmi in un mondo in cui tutti, anche gli artisti, sono soppiantati dall’intelligenza artificiale.

Nell’album esplorate anche il concetto di aspettativa e pressione lavorativa: vi volevo chiedere quando l’avete vissuta in maniera più intensa questa sensazione?

Penso di parlare a nome di tutti, se dico che a Sanremo abbiamo vissuto grande pressione, ma questo non significa che siamo stati sconfortati in qualche modo. Ecco, non sempre la pressione si trasforma in depressione. Dall’altra, per tanti artisti questa cosa invece alla lunga vale. Cioè l’idea dell’aspettativa, soprattutto lavorativa, ci fa sentire un po’ in una gabbia, anche se siamo dei privilegiati, perché fare questo mestiere è un privilegio. Un sogno che volevamo vivere, ma anche una passione da sempre.

Quindi ha uno spettro più ampio questo problema?

Penso sia un problema della concezione del lavoro della nostra società, cioè l’idea della performance, della perfezione, del superarsi di anno in anno, che è un concetto assurdo: la crescita perenne. Non bisogna invitare al lassimo, alla pigrizia, al non volerlo fare, ma bisogna anche essere umani in qualche modo e tante volte l’aspettativa che si crea sul lavoro è quasi inumana, per non dire disumana.

Ne avete parlato anche in Burnout. 

Sì, sono usciti campanelli d’allarme da artisti, ma anche personalità di spicco di altri settori, imprenditori, attori, che hanno appunto lanciato dei segnali nelle interviste e vanno colti in qualche modo. Abbiamo voluto raccontarlo in una canzone come Burnout.

Voglio ritornare su Migliore, sulla traduzione musicale che avete fatto del femminicidio di Giulia Tramontano: come ci si pone, artisticamente, nei confronti di una storia così violenta e se sentite che la musica possa avere un ruolo nell’educazione all’affettività del pubblico.

Allora la musica può avere un ruolo nell’educazione in qualche modo, nel senso che è una scintilla. Poi c’è bisogno di una mediazione, se davvero si vuole educare le persone. Io sono figlio di una maestra elementare e so che insomma, una canzone data in pasto a dei bambini, per esempio dei ragazzi, può essere recepita in milioni di modi diversi, che è una cosa positiva se si parla di arte da fruire. In generale è una canzone d’amore, ma quando si tratta quel tema dell’educazione è rischioso perché è una mediazione: ci vuole una maestra, una professoressa, un professore, un maestro. Ecco, da quel punto di vista bisogna sempre andarci cauti e non delegare chiaramente soltanto alle canzoni quella che deve essere l’educazione di una società, di una generazione futura.

È un tema che vi tocca particolarmente.

È un tema importantissimo. Dovremmo mettere la maggior parte delle nostre risorse sul tema dell’educazione e tutte le arti dovrebbero ambire a in qualche modo anche ad educare, non solo a intrattenere: con i paletti come la mediazione del messaggio. Venendo al tema specifico di quella canzone, prima che artisticamente, si deve trovare un modo di raccontare quella cosa come uomini, perché è stato molto difficile raccontare un femminicidio da uomo.

Qual è stata la cosa più difficile?

Siamo parte del problema, è molto difficile da ammettere e noi stessi e in passato probabilmente non riuscivamo a capire questa cosa, io in primis, perché tu dici io non l’ho fatto materialmente, non ci sono arrivato materialmente a quella bestialità. È chiaro che la maggior parte delle persone non arrivano fino a quel punto. Dall’altra, però ci sono un sacco di atteggiamenti, di cose, del vivere comune che bypassiamo, che ignoriamo, che però in qualche modo sono un terreno fertile per arrivare a quelle oscenità. È un concetto orrendo, è un concetto difficile anche da far passare. Però purtroppo dobbiamo cercare alla fonte di cambiare la nostra società in questo modo, anche solo con la consapevolezza. E quindi, dico, la canzone può servire a cambiare il modo? Assolutamente no. Le canzoni? Assolutamente no. Anche le canzoni non cambieranno il mondo, però, se anche solo iniziano come una scintilla a far crescere il dibattito, allora lì questo enorme mondo della cultura, riuscirà a dare un contributo anche per migliorare una società incancrenita in qualche modo.

Invece, cosa state preparando per il prossimo tour 2025 negli stadi?

Stiamo già iniziando a lavorare al Tour e sicuramente ci saranno diversi dei brani di questo disco. Ci stanno stimolando molto nel creare effetti visivi e effetti scenici diversi e unici, ispirati al mondo dei pixel, al mondo della tecnologia, a tutta una serie di spunti che ancora però stiamo elaborando. Quindi dare troppi spoiler è un po prematuro. A giugno partiamo da Campovolo e attraversiamo tutta quanta l’Italia in grandi arene e stadi: molti luoghi, tra l’altro, che non abbiamo attraversato nel nostro primo tour degli stadi e quindi sarà sicuramente una grande emozione, qualcosa di nuovo e di spettacolare, sperimentale, da vivere insieme.

Cosa rappresenta un concerto negli stadi in questo momento della vostra carriera?

C’è la dimensione dell’essere assieme, della celebrazione. Non tanto ciò che avvviene sul palco, ma in un mondo sempre più distante e che vive dietro gli schermi, in questo contesto il concerto è una celebrazione. Riuscire ancora a organizzare qualcosa di fisico, di reale e di tangibile potrebbe essere una delle risposte che daremo nel futuro all’intelligenza artificiale. Leggevo l’altro giorno di un’etichetta nuova, lanciata da soli artisti creati con intelligenza ufficiale. Ecco i concerti per come ancora sono concepiti, sono una sorta di antidoto. Quindi ecco, dobbiamo anche decidere in qualche modo da che parte stare. Noi abbiamo deciso di stare su un palco bellissimo.

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