Questa mattina i finanzieri del Comando Provinciale di Bari stanno dando esecuzione, nella provincia di Bari, a un’ordinanza applicativa di misure cautelari detentive personali degli arresti domiciliari nei confronti di quattro persone e misure interdittive del divieto temporaneo di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese nei confronti di due persone, nonché alla notifica degli avvisi di conclusione delle indagini preliminari nei confronti degli indagati.
L’operazione è l’epilogo di un’articolata attività di indagine che ha consentito di individuare un’associazione a delinquere, dedita all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché all’attività di riciclaggio dei proventi illeciti generati da tali condotte. In particolare, le Fiamme Gialle baresi, nel corso di accertamenti finalizzati alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, hanno raccolto utili elementi indiziari a fronte dei la questa Procura ha delegato alla polizia giudiziaria mirate attività tecniche nei confronti di un sodalizio criminale, operante tra Bitonto e Bari.
I Finanzieri hanno accertato che il sodalizio criminale, attraverso imprese prive di struttura logistico-amministrativa, consistenza patrimoniale e finanziaria, vere e proprie «scatole vuote», delle «cartiere», emettevano fatture per operazioni inesistenti nei confronti di società con effettiva consistenza aziendale «good company», prelevando e restituendo in contante le somme bonificate alle società clienti, trattenendo, per il «servizio reso», una percentuale pari al 22% dell’Iva. In alcuni casi è emerso che i componenti del sodalizio criminale si presentavano presso le sedi dei clienti principali con denaro al seguito, ancor prima dell’emissione delle relative fatture e, chiaramente, ancor prima del bonifico che avrebbero dovuto effettuare i destinatari delle false fatture, utilizzando di fatto il contante come vera e propria merce da «piazzare» ai propri clienti.
In pratica, gli indagati avevano creato un vero e proprio mercato tramite il quale, dopo aver venduto il denaro e con esso la falsa fattura, rientravano in possesso di detta liquidità attraverso i bonifici eseguiti dai clienti, comprensivi del 22% di Iva sulla somma consegnata che costituiva il prezzo del servizio reso. Singolare, come emerso dalle indagini, la denominazione «paccodisale» utilizzata dagli ideatori della frode per denominare gli indirizzi di posta elettronica impiegati per l’apertura dei rapporti bancari (nazionali ed esteri) su cui confluivano i bonifici disposti per le false fatture e utilizzati dagli stessi per la ricezione della corrispondenza degli istituti finanziari.