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Notiziario

La mossa del presidente della Corea del Sud Yoon Suk Yeol che, spalleggiato dalle Forze armate, nelle ultime ore ha dichiarato la legge marziale di emergenza in quanto, ha spiegato, la misura è necessaria per proteggere il Paese dalle «forze comuniste» (leggasi la minaccia costituita dalla Corea del Nord) è solo l’ultimo capitolo di una storia che inizia alla fine della Seconda guerra mondiale quando, dopo la sconfitta del Giappone, la Corea viene divisa letteralmente in due: a Nord del 38° parallelo viene occupata dalle forze dell’Unione sovietica e a Sud da quelle statunitensi.

Questa separazione, che nei piani iniziali sarebbe dovuta essere temporanea, diventa invece permanente. L’idea è quella di dare vita a una commissione bilaterale, che avrebbe dovuto adoperarsi per la creazione di un governo provvisorio per la riunificazione della penisola. Le cose, raccontano i libri di storia, vanno diversamente: le elezioni si tengono nella sola Corea del Sud, sotto la supervisione dell’Onu. Il 12 dicembre 1948 Syngman Rhee diviene presidente della Repubblica di Corea, con capitale Seul. Allo stesso tempo al Nord nasce la Repubblica Democratica Popolare di Corea, con capitale Pyongyang, sotto un governo comunista al cui timone si erge Kim Il-sung (è il nonno dell’attuale dittatore nordcoreano).

La guerra di Corea

Una sola Penisola, due diverse amministrazioni politiche, di orientamento diametralmente opposto. Ecco allora che sia l’una sia l’altra parte si muovono con l’obiettivo di unificare il territorio. La conseguenza è la guerra, che si concluderà con 2,8 milioni tra morti, feriti e dispersi. Fin dall’inizio la popolazione civile subisce violenze e privazioni: circa un milione e mezzo di coreani perderanno la vita nel corso del conflitto sia a causa dei combattimenti che per fame e malattie. La guerra di Corea rappresenta uno dei momenti più critici della “Guerra fredda”. La domenica del 25 giugno 1950 il capo della Repubblica Popolare Democratica di Corea Kim Il-sung, con il tacito appoggio dell’Unione sovietica e della Repubblica popolare cinese, dà l’ordine di attraversare il 38° parallelo per invadere la Corea del Sud e unificare il paese. Ma la Corea del Sud è stretta alleata degli Stati Uniti. Il consiglio di sicurezza dell’Onu viene convocato d’urgenza: dichiara l’intervento del governo nordcoreano un atto di aggressione contro la pace, e chiede l’immediato ritiro delle truppe al di sopra del 38° parallelo. L’ultimatum non ha alcun effetto, di qui l’intervento delle forze armate statunitensi in aiuto di quelle sudcoreane. Scatta pertanto una rapida risposta delle Nazioni Unite: su mandato del consiglio di sicurezza dell’Onu gli Stati Uniti, affiancati da altri 17 Paesi, intervengono militarmente nella penisola per impedirne la conquista da parte delle forze comuniste nordcoreane. Dopo grandi difficoltà iniziali, le forze statunitensi, sotto la guida dal generale Douglas MacArthur (già precedente comandante supremo delle forze alleate in Giappone), respingono l’invasione. Ma fanno di più: avanzano fino a invadere una fetta importante della Corea del Nord.

L’intervento della Cina

La nuova situazione spinge a entrare nel conflitto la Cina comunista di Mao. Il conflitto si fa su larga scala. A sostegno dell’esercito del Nord interviene anche l’Unione sovietica di Stalin. Le truppe dell’Onu, colte di sorpresa, devono ripiegare sulla linea Suwon-Wonju-Samcheok, a circa 80 chilometri a sud del confine iniziale tra i due paesi. Dopodiché la coalizione Onu riprende l’offensiva, recupera terreno ed conquista la città di Seul.

Il 38esimo parallelo

Il fronte si attesta al 38º parallelo. L’armistizio di Panmunjeom nel 27 luglio 1953 segna la fine della guerra di Corea, e conferma la spaccatura della Penisola che viene divisa in due: Corea del Nord, con capitale Pyongyang, e Corea del Sud, con capitale Seul. Cinesi e americani esprimono soddisfazione. I due paesi si impegnano a iniziare delle trattative di pace entro tre mesi, ma un trattato di pace non vedrà mai la luce per l’inflessibilità dei nordcoreani. Viene prevista una Zona demilitarizzata: una striscia di terra a cavallo del confine nella quale gli eserciti si ritirano. In realtà si tratta di un’area minata e recintata da filo spinato elettrificato, telecamere di sorveglianza 24 ore su 24 guardie armate. Secondo l’armistizio, sarebbero dovuti rimanere solamente 35 soldati per ogni parte, ciascuno armato solo con una pistola.

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