Poco meno di 430 miliardi di dollari, dieci volte di più rispetto ai 43 miliardi del decennio precedente: è quanto hanno “incassato” dal 2015 a oggi le aziende tecnologiche europee, che solo quest’anno porteranno a casa finanziamenti per circa 45 miliardi, cifra in linea con quella (47 miliardi) registrata nel 2023. Negli ultimi dieci anni, inoltre, la crescita dei fondi di Venture Capital in Europa non ha conosciuto soste (la raccolta totale è stata di 154 miliardi di dollari, quasi il triplo rispetto al valore della decade precedente) e ha superato quella di tutte le altre regioni, esibendo un tasso medio di sviluppo del 13% al cospetto dell’8% registrato nello stesso periodo dagli Stati Uniti, del 2% della Cina e del 10% del resto del mondo. C’è l’essenza della storia recente dell’innovazione nella decima edizione dello “State of European Tech“ pubblicato dal fondo di investimento Atomico, un rapporto che combina dati quantitativi provenienti dai 41 Paesi del Vecchio Continente con le risultanze di un’indagine condotta su migliaia fra operatori, startupper e investitori istituzionali dell’industria tecnologica per capire che cosa stia realmente accadendo in questo settore. Assai indicativi, per avere un’idea dello scenario raccontato nello studio, sono i commenti dei due co-autori del rapporto, Sarah Guemouri e Tom Wehmeier, secondo i quali le future ambizioni dell’Europa in ambito tech corrono lungo due direttrici principali: un maggiore supporto da parte dei fondi pensione privati e dei Limited Partner governativi (attraverso i titoli di Stato venduti agli investitori) e un approccio più votato all’ambizione e alla fiducia nelle potenzialità di successo dell’ecosistema.
Nella Ue nascono più startup ma una su due cerca fondi negli Usa
Ma come si è evoluto l’ecosistema digitale europeo negli ultimi dieci anni? A questa domanda gli analisti di Atomico hanno provato a rispondere in diversi modi. Uno di questi, per esempio, certifica come l’Europa sia diventata, da 10 anni a questa parte, la patria per eccellenza delle startup tecnologiche emergenti: sono ben 35mila, infatti, le nuove imprese avviate nel periodo e tale numero supera quelli di qualsiasi altra regione al mondo, Stati Uniti compresi. L’icona di questa escalation è Londra, che nel 2015 era l’unica città europea nella top 10 dei principali hub per volume di finanziamenti destinati alle nuove startup (con round inferiori ai 15 milioni di dollari) e che oggi occupa il secondo posto assoluto a livello globale, precedendo Berlino e Parigi nell’ordine. Una seconda istantanea molto indicativa ci dice invece come in Europa vi sia, allo stato attuale, un numero di aziende in fase di crescita otto volte superiore rispetto a dieci anni fa, nonostante il contesto economico ancora difficile. Per contro, le startup americane hanno il doppio delle probabilità di raggiungere round superiori ai 15 milioni di dollari rispetto a quelle Ue e non deve quindi sorprendere il fatto che un’impresa tech (europea) in fase di sviluppo su due abbia bussato alla porta di un investitore statunitense. Un dato rilevante, dicono gli esperti di Atomico, perché riflette il rischio di fuga di talenti, conoscenze ed economia di mercato. I problemi sono noti e strutturali (i fondi pensione europei investono al momento nei VC globali solo lo 0,01% dei circa 9 trilioni di dollari di asset gestiti) e scalfiscono in parte le potenzialità di cui è accreditato l’ecosistema tech della Ue, che nell’arco dei prossimi dieci anni potrebbe raggiungere un valore complessivo di 8 trilioni di dollari, con un bacino di 20 milioni di professionisti impiegati.
I numeri italiani: raccolta d 7,7 miliardi entro il 2034
Se guardiamo al 2023, non ci sono particolari oscillazioni negli investimenti relativi alle tech company italiane, che quest’anno dovrebbero assestarsi infatti sui 900 milioni di dollari, cifra in linea con il miliardo di dodici mesi fa e inferiore (nel Sud Europa) solo alle performance della Spagna, che arriverà a 1,4 miliardi. Il salto in avanti rispetto al decennio precedente (2005-2014), quando le startup raccolsero complessivamente circa 600 milioni di dollari, è invece sostanziale e fa da trampolino per il prossimo (2025-2034), per cui le stime parlano di finanziamenti per un totale di 7,7 miliardi. Vi sono quindi altri numeri che confermano lo sviluppo conosciuto dalle imprese tech della Penisola e il più importante è relativo al numero di impiegati nel settore, passati dai 26mila del 2015 alle 167mila unità attuali. Ancora un dato, infine: dieci anni fa l’Italia non aveva ancora nessuna azienda tecnologica capace di vantare lo status di unicorno, oggi le “scaleup” tricolori che valgono più di miliardo di euro sono sette.
Una culla per i talenti dell’AI
La curva di crescita registrata dalle tech company europee in dieci anni è sancita anche sul fronte dei talenti. Gli addetti complessivamente impiegati sono infatti aumentati di sette volte e oggi il comparto può contare su una forza lavoro di 3,5 milioni di persone, lo stesso numero dei professionisti attivi negli Stati Uniti nel 2020: numeri alla mano, il mercato dei talenti del digitale e dell’innovazione nel Vecchio Continente si è ampliato a un tasso composito annuo del 24%, lo stesso registrato dalle tech company a stelle e strisce. A sostenere questa corsa in avanti, come evidenzia ancora lo studio di Atomico, ha avuto un ruolo decisivo il boom dell’intelligenza artificiale. Il bacino di talenti attivi a vario livello nell’AI in Europa è infatti uno dei suoi più grandi punti di forza, tanto che il numero di ruoli legati a questa tecnologia è lievitato di sei volte, sfruttando anche l’effetto catalizzante dell’intelligenza artificiale sulle dinamiche di investimento. Alle startup del deeptech è infatti andato il 33% dei finanziamenti totali distribuiti quest’anno e la raccolta negli ultimi dieci ann ha toccato quota 94 miliardi di dollari, contro i 123 miliardi investiti in Asia e gli oltre 300 miliardi degli Stati Uniti.