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Un ex detenuto palestinese ha raccontato di aver visto Giulio Regeni prima e dopo un interrogatorio in carcere: “Usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente elettrica”, ha raccontato in un video. “Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati”.

Giulio Regeni

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Un ex detenuto palestinese, ripreso in un video che è stato acquisito dal tribunale di Roma e proiettato oggi in aula nel corso del processo per il sequestro e la morte di Giulio Regeni, avvenuta nel 2016 al Cairo, in Egitto, fa delle dichiarazioni importantissime per ricostruire il caso. Il video che è stato mostrato in aula, nel corso dell’udienza del processo davanti alla Prima Corte di Assise di Roma – che vede imputati quattro 007 egiziani – è stato estrapolato da un documentario di Al Jazeera.

“‘Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio? Dove hai conseguito il corso anti interrogatorio?”, erano le domande che venivano ripetute al giovane ricercatore friulano dai carcerieri nel corso degli interrogatori.

“Ricordo più volte questa domanda ripetuta in dialetto egiziano. Non so se Giulio abbia risposto a meno – ha spiegato l’uomo – Insistevano molto su questo punto, erano nervosi. Usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente elettrica”.

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Nella videotestimonianza l’ex detenuto ha spiegato di aver visto Giulio Regeni il 29 gennaio 2016, tra il pomeriggio e la sera, “mentre usciva dalla palazzina del carcere, passando nel corridoio, diretto al luogo dove avveniva l’interrogatorio. La lingua usata per interrogare era l’arabo e il dialetto egiziano. C’erano anche ufficiali che non avevo mai visto prima e un dottore specializzato in psicologia. Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. Era a circa 5 metri da me. Indossava una maglietta bianca, un pantalone largo blu scuro”.

In seguito, ha ripreso il testimone, “l’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla verso le celle”. Quando “ero in quella struttura i miei familiari non sapevano nulla di me, non c’era nessun contatto col mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché”.

La testimonianza della sorella di Giulio, Irene

“Ricordo una chiamata di mia mamma che mi diceva: ‘hanno fatto tanto male a Giulio’. La parola tortura l’ho sentita per la prima volta al telegiornale”, ha detto Irene Regeni, la sorella di Giulio, nel corso della sua testimonianza durante il processo. Le parole della giovane sono state ascoltate questa mattina in tribunale a Roma.

“Giulio era un ragazzo normalissimo – ha detto ancora Irene – gli piaceva divertirsi. Per me era ‘Giuly'”. Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, ha detto: “Avevo 24 anni, quando lui era andato via di casa avevo 12 anni e lui 17. Mi è piaciuto tantissimo andarlo a trovare in New Messico con tutta la famiglia e lui, in quell’occasione, mi ha presentato i suoi amici. Sono stata ispirata a essere indipendente, infatti vivo fuori dall’Italia da 8 anni”.

E ancora:”Avevamo punti di vista diversi sulle cose: lui era un umanista e io una scienziata. Eravamo sempre in contatto sulle cose importanti: ci sentivamo in chat e tramite mail”. Tra Irene e Giulio c’erano “quattro anni di differenza sulla carta e 5 reali”. “Lui è andato via da casa a 17 anni. L’ho sempre visto come grande esempio. Era il mio ‘fratellone’, lo cercavo per darmi un consiglio. Ricordo i preparativi quando lui partì”. Quindi ha sottolineato, trattenendo a stento la commozione: “Era un ragazzo normalissimo. Non avrei mai pensato di vivere senza. Intelligente, buono, generoso. Gli piaceva divertirsi. Siamo stati ai concerti insieme”.

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