
Servono 1.700 miliardi di euro all’Europa da qui al 2040 per colmare il gap infrastrutturale che contraddistingue il settore idrico dove risulta non più differibile la modernizzazione di sistemi troppo obsoleti per migliorare l’efficienza e garantire la resilienza di lungo periodo, insieme a un forte impegno nell’aggiornamento degli impianti di trattamento delle acque reflue e nella gestione di contaminanti emergenti, come i Pfas (le sostanze per- e polifluoroalchiliche) nelle acque potabili, sulle quali Bruxelles ha avviato di recente una ulteriore stretta. E l’Italia? Per porre mano ai cronici problemi del suo sistema idrico, a cominciare dalle perdite che superano il 42% dell’acqua immessa in rete (a fronte di una media Ue del 20%), sono necessari almeno 30 miliardi di investimenti in 10 anni in modo da dimezzare il tasso di dispersione – che raggiunge i 150 litri al giorno per abitante – e ammodernare e potenziare le reti.
A tracciare una fotografia puntuale dello “stato di salute” delle infrastrutture idriche, non solo nel Vecchio Continente, è l’analisi appena pubblicata dal World Economic Forum e nata dalla collaborazione con Acea e l’Università di Cambridge, in occasione del prossimo appuntamento che, come di consueto, si terrà a Davos il prossimo gennaio. Un documento snello di una quarantina di pagine che mette in fila le criticità del sistema, ma anche, e soprattutto, l’esatto perimetro del cambio di passo necessario per intervenire su questo disallineamento. Che, a livello globale, implicherebbe, invece, uno sforzo di 11.400 miliardi al 2040 e, dunque, un’accelerazione notevole rispetto alle traiettorie attuali. Incapaci di assicurare, rimarca il nuovo Libro bianco sull’acqua, anche l’accesso a servizi idrici e igienico sanitari sicuri e a prezzi accessibili a oltre 3 miliardi di persone che ancora ne sono prive.
Quanto al Vecchio Continente, le infrastrutture idriche italiane ed europee stanno affrontando un significativo gap dovuto ad anni di sottoinvestimenti che hanno contribuito ad accentuare il divario rispetto alle aree più virtuose. E questo ha peggiorato l’invecchiamento delle reti idriche che, nella penisola, raggiunge punte molto elevate: basti pensare che il 60% delle infrastrutture ha oltre 30 anni. Urge, dunque, un cambio di approccio che deve prendere da un’assunzione di responsabilità rispetto al valore strategico dell’acqua, a sostegno del quale l’ad di Acea, Fabrizio Palermo, si batte fin dal suo arrivo al timone del gruppo nel settembre del 2022. Fortemente convinto che la risorsa idrica, in quanto motore silenzioso del tessuto economico, nonché tassello cruciale per la sicurezza e la salute pubblica, non debba essere considerata la Cenerentola del sistema energetico non solo in Italia ma nel resto d’Europa. «Non esiste una soluzione unica per tutti i Paesi, ma serve una regia capace di garantire una visione complessiva e adattare le strategie alle specificità locali», è il ragionamento che il ceo di Acea va ribadendo da tempo e che ha posto sul tavolo per la prima volta lo scorso anno proprio nella cittadina, arrampicata sulle Alpi svizzere, dove si tiene il Forum Economico Mondiale, nell’ambito del quale Palermo presiede un gruppo settoriale sull’acqua, chiamato a individuare la necessaria ricetta per imprimere una svolta al settore. Che passa, secondo il numero uno di Acea, anche e soprattutto da un forte focus sulla modernizzazione delle infrastrutture.
La ragione è evidente: le reti su cui poggia il sistema idrico italiano «risalgono a decenni fa – ha più volte puntualizzato il top manager – e non dispongono spesso di tecnologie moderne». Un nodo, quello della mancata spinta tecnologica, che torna anche nel paper del Wef. Dove si insiste molto sull’esigenza di spingere con forza sull’innovazione attraverso l’adozione di strumenti digitali, automazione e intelligenza artificiale con strumenti come i green bond, la finanza mista e i partenariati pubblico-privati.










