Le dimissioni di Andrii Yermak, fino a ieri il braccio destro più influente di Volodymyr Zelensky, arrivano nel momento più delicato della guerra e delle trattative di pace. Il capo di gabinetto del presidente ucraino, principale architetto del negoziato con Washington, ha lasciato l’incarico dopo che gli investigatori anticorruzione hanno perquisito il suo appartamento all’interno del complesso presidenziale a Kyiv, nell’ambito di un’inchiesta di vaste proporzioni sul settore energetico. Yermak ha confermato i controlli, ha dichiarato di collaborare pienamente e, al momento, non risulta formalmente indagato.
Dietro il blitz c’è l’indagine congiunta dell’Ufficio nazionale anticorruzione (NABU) e della Procura anticorruzione (SAPO) nota come “operazione Midas”, che punta a smantellare un presunto sistema di tangenti nel colosso nucleare statale Energoatom. Secondo gli inquirenti, un gruppo di funzionari avrebbe controllato gli appalti della compagnia pretendendo mazzette tra il 10 e il 15% del valore dei contratti, intimidendo o tagliando fuori i fornitori che rifiutavano di pagare. L’operazione, preparata in oltre un anno di lavoro investigativo, ha prodotto decine di perquisizioni, il sequestro di milioni di dollari e circa mille ore di intercettazioni. È la più grande inchiesta per corruzione dall’inizio dell’invasione russa e ha già scosso profondamente l’opinione pubblica, mentre il Paese affronta blackout e attacchi missilistici alle infrastrutture energetiche.
Al centro dello scandalo compare il nome dell’imprenditore Tymur Mindich, socio storico di Zelensky nella casa di produzione Kvartal 95 e figura influente nell’intreccio tra media, politica e affari in Ucraina. Gli inquirenti lo considerano il presunto regista del sistema di tangenti, un ruolo che avrebbe esercitato piazzando uomini fidati nei vertici del settore energetico e in società legate agli appalti pubblici. Mindich ha lasciato l’Ucraina poche ore prima dei primi blitz e risulta ora all’estero. Almeno otto persone sono state incriminate, mentre due ministri si sono dimessi nelle scorse settimane. Il legame personale tra Mindich e Zelensky rende politicamente esplosivo il dossier, anche se il presidente non è al momento coinvolto nelle accuse.
Di fronte a questa tempesta, Zelensky ha scelto di sacrificare il suo collaboratore più potente e annunciare una sorta di “reset” dell’Ufficio presidenziale. In un videomessaggio serale, ha avvertito che la Russia aspetta solo “errori” e divisioni interne per indebolire il fronte ucraino, insistendo sulla necessità di preservare l’unità nazionale mentre su Kyiv cresce la pressione statunitense per arrivare a un accordo di pace. Il presidente ha spiegato di non voler lasciare “nessun pretesto” a chi, dentro e fuori il Paese, mette in dubbio la volontà di combattere la corruzione, e ha presentato le dimissioni di Yermak come una scelta di responsabilità per evitare distrazioni dal fronte militare. La ristrutturazione del suo staff, ha aggiunto, dovrebbe servire a “concentrare tutte le energie sulla difesa e sulla vittoria”.
La partenza di Yermak obbliga anche a ridisegnare la squadra che guida i negoziati con gli Stati Uniti e con gli altri partner sul futuro assetto della guerra. Zelensky ha annunciato che il mandato negoziale verrà condiviso tra il capo di stato maggiore Andrii Hnatov, il ministro degli Esteri Andrii Sybiha e il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale Rustem Umerov, affiancati dai vertici dell’intelligence. Hnatov, generale dei marine, è uno dei simboli della “nuova generazione” militare portata ai vertici dopo il 2022, mentre Umerov – a sua volta citato nell’inchiesta energetica ma non incriminato – è considerato un uomo-ponte tra difesa, finanza e relazioni con il mondo musulmano e turcofono. La scelta di un triumvirato tecnico-militare sembra pensata per rassicurare gli alleati occidentali sulla continuità della linea ucraina al tavolo dei colloqui.










