Storie Web lunedì, Dicembre 1
Notiziario

Andando ad analizzare su Spotify i crediti del brano Walk My Walk di Breaking Rust, scopriamo che il compositore e paroliere è un certo Aubierre Rivaldo Taylor. Quest’autore era già noto sotto lo pseudonimo di Defbeatsai per aver rilasciato brani dai titoli decisamente più espliciti, con un target, per così dire, più adulto. Il profilo della band, pur essendo verificato, non presenta una biografia di alcun genere, ma solo una foto in bianco e nero, ovviamente generata dall’IA, che ritrae un cowboy con cappello e barba incolta. Questo dettaglio suggerisce uno scarso impegno nel curare l’immagine della band o nel fornire informazioni accurate.

È un brano da hit parade?

La canzone “Walk My Walk” a un primo ascolto superficiale non sembra un brano generato dall’intelligenza artificiale. È una traccia molto malinconica e piuttosto stereotipata per il genere country, con una struttura che alterna accordi maggiori e minori e si sviluppa in strofe e ritornelli. La sezione ritmica tende più verso il pop che il country, data l’assenza di un organico strumentale tipico del genere. Tuttavia, ascoltando il brano più volte o utilizzando delle cuffie, si notano alcuni dettagli particolari: nelle note tenute, la voce assomiglia molto più a un suono in loop che a una voce umana, e questo effetto è particolarmente evidente nella parte finale, quando la voce, sulla parola “my”, esegue una nota lunga che sembra simulare un vibrato, ma che all’orecchio risulta il semplice ripetersi della stessa nota con identico attacco e medesima decadenza del suono.

Le altre canzoni presenti in classifica

È abbastanza palese quale fosse l’ispirazione per il brano. Da qualche anno, infatti, il pop ha incorporato molte sonorità country, come si vede nelle canzoni di artisti quali Rag’n’Bone Man. Non stupisce, quindi, che tra i brani consigliati da YouTube stesso appaia Teddy Swims, un altro artista con una produzione dalle chiare venature country. Il fatto che il pezzo abbia raggiunto una posizione così alta non sorprende: la formula è prendere spunto da artisti in voga, farsi generare un testo e una base musicale molto simili a quelle di artisti super ascoltati. Sulla stessa scia si inseriscono altri brani che da mesi troviamo nelle playlist e nelle classifiche internazionali. Una storia analoga è quella della band AI chiamata Velvet Sundown, che ha scalato le classifiche di Spotify, finendo addirittura nella playlist “Classic Rock Anthems 60s and 70s” e venendo annoverata tra i classici della musica rock. Un’altra band generata dall’IA è The Roux, che produce musica prettamente pop-blues e sta riscuotendo un discreto successo.

Concorrenza sleale o futuro alleato?

La cosa che preoccupa prima di tutto è la rapidità con cui queste band ottengono successo: passano dall’essere sconosciute ad avere più di un milione di ascolti nel giro di una settimana. Chiaramente, questo non è frutto unicamente del passaparola o della condivisione spontanea dei link, quanto piuttosto di un massiccio spostamento di capitale investito nella promozione del brano, più che nella sua produzione. Se si riesce a risparmiare sulla creazione, si può investire tutto nella pubblicità. Ci ritroviamo così di fronte all’ennesimo caso di imitazione con facile guadagno. Sono ancora pochi gli artisti che utilizzano l’IA come strumento e non come obiettivo finale. Attendiamo ancora, ansiosi e fiduciosi, che qualche figura di spicco della musica odierna sappia farne un uso innovativo, sperando che apra la strada e dia il buon esempio in questo campo.

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