«La moda è il secondo settore manifatturiero in Italia e in due anni ha perso circa il 10% del proprio fatturato. Abbiamo bisogno di cambiare una narrativa basata sul concetto che “la moda ce la fa anche da sola”: non è vero. Hanno chiuso molte aziende e anche alcuni brand sono in difficoltà» . Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda italiana, parla in chiusura di un anno complicato per il settore, colpito dalla crisi del lusso che ha avuto ripercussioni sugli ordinativi e messo in difficoltà la filiera italiana, ma anche da una serie di episodi che hanno visto i brand accusati di mancato controllo sulla propria catena di fornitura dove si sono verificati episodi di sfruttamento dei lavoratori, da ultimo il caso Tod’s.
Il 2026, secondo le stime Bain-Altagamma presentate a Milano, potrebbe essere l’anno della ripresa delle vendite dell’alto di gamma, segmento d’elezione del made in Italy, ma le incognite e le sfide rimangono. Così come l’appello alla politica per aiutare il settore: «Abbiamo presentato 13 proposte per il settore che sono state inserite tra gli emendamenti alla legge di Bilancio 2026. Tra quelle più importanti la proroga del credito d’imposta per l’ideazione estetica, attualmente al 5% e in scadenza, che vorremmo fosse esteso ai prossimi cinque anni e innalzato al 10 per cento. Ci hanno detto che la misura (in un emendamento segnalato a firma M5s, ndr) che abbiamo stimato costerebbe allo Stato circa 70 milioni di euro, non avrebbe le coperture finanziarie e così abbiamo rilanciato proponendo di usare i fondi avanzati da Industria 5.0».
La lotta all’ultra fast fashion in primo piano
C’è poi il tema della lotta all’ultra fast fashion – sul quale è stato fatto un importante passo avanti all’Ecofin con l’approvazione della tassazione per i pacchi entro i 150 euro di valore. In attesa di capire in che modo dovrebbe (e potrebbe) essere anticipata l’entrata in vigore della misura al 2026, e quindi di due anni rispetto all’operatività dell’Eu customs data hub, la Cnmi ha proposto di introdurre un’imposta ambientale progressiva (da 5 a 10 euro entro il 2031) su ogni pacco di abbigliamento proveniente da paesi extracomunitari di peso inferiore ai 2kg, oltre al divieto di promozione e all’obbligo rispetto, da parte delle piattaforme, di obblighi informativi in linea con quelli previsti per le imprese europee. «È fondamentale agire immediatamente per difendere la filiera italiana, i lavoratori e la sostenibilità», dice Capasa.
Le altre misure proposte tra gli emendamenti
Attualmente tra gli emendamenti alla legge di Bilancio proposti dai partiti di maggioranza (Fdi, Fi e Lega) “segnalati”, e quindi quelli che hanno superato la prima scrematura, ci sarebbero quelli relativi alla concessione di un credito d’imposta per l’acquisto della componente energetica e all’esonero contributivo per le aziende che acquistano partecipazioni di minoranza in Pmi in difficoltà, ma anche un fondo per la salvaguardia della filiera con una dotazione di 150 milioni di euro all’anno per 2026 e 2027. I giochi, però, non sono ancora fatti: l’iter della manovra è ancora agli inizi.
Le norme sulla legalità nel ddl Pmi
C’è anche un altro pacchetto di norme che coinvolge il settore moda e, agganciato al ddl annuale sulle Pmi, è già stato approvato in prima lettura al Senato: quello che introduce un sistema di certificazione della legalità della filiera (criticato dalle parti sociali perché introdurrebbe uno “scudo penale” per i brand, ndr). Cnmi punta a una modifica del testo: «Vogliamo lavorare per migliorare la norma, non ci servono scudi penali ma vogliamo che sia garantita la possibilità, per i brand, di collaborare con l’autorità giudiziaria prima che si avvii un eventuale commissariamento. Vogliamo remare tutti nella stessa direzione».













