L’attuale regime del cambio d’ora è stabilito da una direttiva del 2000 che impone a tutti i Paesi dell’Unione di spostare le lancette due volte l’anno. Il principio è quello dell’uniformità: un’Europa con orari diversi rischierebbe di frammentare il mercato interno, complicare il trasporto ferroviario e aereo, alterare le reti elettriche interconnesse e creare problemi nei mercati finanziari. Per questo, finché la direttiva resta in vigore, la Commissione invita gli Stati a muoversi solo in modo coordinato.
Ma la coordinazione è esattamente ciò che manca. A nord, Paesi come Svezia, Finlandia e Danimarca sono da tempo favorevoli a cancellare il doppio spostamento, ma pretendono che venga mantenuta l’ora solare — più vicina al ritmo naturale della luce in inverno. Per i Paesi scandinavi, adottare l’ora legale tutto l’anno significherebbe avere albe dopo le 10 del mattino per lunghi mesi: una prospettiva considerata impraticabile per la vita quotidiana e la produttività.
Più a sud, invece, le esigenze si rovesciano. La Spagna, l’Italia, il Portogallo e in parte la Grecia vedono nell’ora legale permanente un vantaggio: più luce serale, minore consumo elettrico nelle ore di punta e maggiore attrattività turistica. È il “tempo mediterraneo”, più in sintonia con il clima e con le abitudini sociali di questi Paesi.
In mezzo, l’Europa continentale — Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Austria — chiede cautela. Qui la sensibilità economica prevale su quella climatica. Berlino e Parigi temono che una decisione unilaterale possa compromettere la coerenza del mercato interno. Un orario diverso tra Spagna e Germania, ad esempio, comporterebbe la necessità di ricalibrare orari ferroviari, voli, borse e mercati energetici interconnessi. Non è un dettaglio: la Borsa di Francoforte, Euronext e BME Madrid condividono finestre di negoziazione sincronizzate al minuto.
Secondo fonti diplomatiche europee, proprio la Germania è il principale freno politico al cambiamento. Berlino chiede che l’eventuale abolizione avvenga solo dopo uno studio d’impatto economico completo e dopo che almeno due terzi dei Paesi abbiano scelto lo stesso orario permanente. La Francia, invece, mantiene una posizione intermedia: la consultazione pubblica del 2019 aveva mostrato una netta preferenza per l’ora estiva, ma l’Eliseo non ha mai formalizzato una linea definitiva.




 
									 
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