Storie Web mercoledì, Ottobre 22
Notiziario

Dieci geni condizionano il senso di sazietà e un algoritmo che ne analizza le varianti può prevedere quale farmaco anti-obesità porterà ai migliori risultati per ciascun paziente. La scoperta arriva dalla Mayo Clinic negli Stati Uniti, dove il test è già utilizzato in 300 cliniche. Un modello che, se validato, potrebbe diventare uno strumento utile alle decisioni cliniche e degli enti regolatori. Come l’Aifa che, dopo l’approvazione in Italia della prima legge al mondo che riconosce l’obesità come malattia cronica, è alle prese con la complessa procedura per definire per quali pazienti rimborsare i nuovi farmaci.

L’algoritmo che cambia la cura dell’obesità

Il test, sviluppato dal gruppo di Andres Acosta della Mayo Clinic, integra parametri clinici, funzionali e biologici con un’analisi genetica avanzata attraverso algoritmi di machine learning. I ricercatori hanno osservato che nelle persone con obesità, il senso di sazietà non dipende in modo significativo da peso, età o ormoni, ma prevalentemente da fattori genetici, in particolare da dieci geni specifici. Hanno poi addestrato un algoritmo per identificare le combinazioni delle varianti genetiche associate a una soglia di sazietà molto alta (oltre 2.000 calorie) o molto bassa (circa 140 calorie), giungendo ad uno strumento con capacità predittiva della soglia di sazietà, paragonabile al test di sazietà fisico adottato nella routine. Conferma arrivata dal confronto con i dati dei complessi test fisici di sazietà su pazienti che avevano partecipato a due diversi studi clinici già completati, uno con fentermina-topiramato e uno con liraglutide, un farmaco agonista del Glp-1.

Dalla soglia di sazietà alla terapia più efficace

Ma l’aspetto più importante riguarda la possibilità di utilizzare il test genetico sviluppato per predire a quale farmaco rispondono meglio i pazienti in base alla soglia di sazietà. Negli studi considerati, chi risultava avere una soglia di sazietà alta rispondeva meglio alla fentermina-topiramato, che aiuta a ridurre le dimensioni delle porzioni; chi aveva una soglia bassa (si sazia con porzioni normali ma mangia frequentemente) perdeva più peso con il liraglutide, che prolunga la sensazione di sazietà e riduce la frequenza complessiva dei pasti.

I risultati, pubblicati su Cell Metabolism, hanno bisogno di conferme con studi su popolazioni più ampie, con disegni prospettici, per migliorare la capacità predittiva del modello.

Il team studia ora la sua applicabilità anche alla semaglutide, il farmaco Glp-1 più diffuso, con risultati a breve, e lavora per rendere il test più completo con dati sul microbioma e su effetti collaterali.

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