Storie Web domenica, Agosto 3
Notiziario

«Compra un certificato, prendi le cedole periodiche e stai sereno». Questa è la frase tipica pronunciata da chi ha investito in certificati ed è soddisfatto. E in effetti, detta così sembra una scelta semplice, alla portata di tutti. La realtà però è ben diversa. E lo si capisce non appena si tenta di impadronirsi dei meccanismi di funzionamento di questi strumenti, ma soprattutto di comprenderli: qui cominciano i tecnicismi e i termini (prevalentemente in inglese), non proprio alla portata di tutti: credit linked notes, airbag, leverage, autocallable cash collect, trigger e via così. E le differenze non sono soltanto semantiche ma sostanziali.

Quello dei certificati è un mondo ampio e variegato e capire le caratteristiche delle diverse tipologie in vendita sul mercato richiede una conoscenza tutt’altro che superficiale. Il rischio è quello di acquistare un prodotto azzardato senza saperlo, pensando di aver fatto un investimento tranquillo al riparo dalla volatilità dei listini.

Fidarsi di amici e conoscenti nell’acquisto di strumenti finanziari non è il criterio migliore per le scelte di portafoglio: un consiglio dato in buona fede non rende immuni dalle delusioni. Discorso diverso se il consiglio arriva dall’intermediario che, invece, ha il dovere di individuare esigenze precise. Nell’ultimo anno i certificates sono stati collocati con grande dinamismo dagli sportelli bancari. L’auspicio è che la vendita di questi prodotti al pubblico retail sia stata accompagnata da una dettagliata informazione perché le caratteristiche da valutare sono varie. Per esempio, da un punto di vista fiscale i certificati, a differenza dei fondi e degli Etf, permettono di compensare le minusvalenze, mentre quanto a struttura, un certificato a capitale protetto è molto differente rispetto a uno condizionatamente protetto.

C’è poi il tema relativo alle barriere legate al prezzo del sottostante e quello inerente ai dividendi dei titoli che compongono il paniere. Insomma le variabili sono tante, forse troppe. E il grande successo riscosso ultimamente da questi strumenti può anche far sorgere il dubbio che possano essere stati venduti soprattutto per i margini che permettono di ottenere dal loro collocamento. Del resto la scarsa cultura finanziaria del nostro Paese non giustifica l’appeal che ultimamente esercitano: in molti casi è più facile farsi sedurre da una decantata efficienza, piuttosto che prestare attenzione al rischio di eventuali cantonate. Anche in questo caso il diavolo riposa nelle clausole, quindi o si legge bene l’informativa o il rischio di sbagliare diventa alto.

Oltre alla complessità del prodotto, poi, bisogna valutare altri aspetti, le commissioni, il rischio emittente (nel caso la banca non sia solvibile, i certificati non sono coperti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi), la liquidità che varia in base all’andamento dei mercati. Se l’investitore non è molto esperto, dunque, la cosa più saggia è dedicare a questi strumenti solo una piccola parte del portafoglio. È più facile che stia sereno facendo così.

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