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Notiziario

Una protesta a metà, con 68 dipendenti che si sono dissociati. Poi sfociata in uno sciopero di due giorni, il primo dopo 40 anni nella storia di Max Mara. Infine diventata un casus belli finito sulla scrivania del sindaco e in consiglio comunale. Con un epilogo che nessuno avrebbe voluto: il dietrofront del colosso emiliano sull’investimento da 100 milioni di euro nel Polo della moda, nell’area della ex Fiera di Reggio Emilia.

La lettera di Maramotti al sindaco Massari

«È francamente impossibile immaginare di realizzare il progetto in un clima di divisione e strumentalizzazione come quello che si è progressivamente venuto a creare», ha scritto il presidente di Max Mara Fashion Group Luigi Maramotti al primo cittadino Marco Massari. Dietrofront irrevocabile. Soprattutto dopo la seduta del Consiglio comunale del 23 giugno. Seduta che non si è concentrata sugli aspetti urbanistici ed economici del progetto (il polo doveva diventare il centro logistico del gruppo) quanto «sulle relazioni industriali». In particolare sulle vessazioni – tra offese e rigidissimi controlli esercitati persino sulle necessità fisiologiche delle lavoratrici – denunciate da una parte delle operaie della Manifattura San Maurizio, uno degli stabilimenti del gruppo, con 210 occupati, prevalentemente donne. Vessazioni smentite dalle altre lavoratrici, che con una lettera aperta hanno preso le distanze da accuse «che non rispecchiano in alcun modo il clima all’interno dello stabilimento né il vissuto della maggioranza di noi».

La discussione in consiglio comunale

Maramotti aveva già scritto ai dipendenti – il gruppo ne conta quasi 6mila, circa 4.500 dei quali a Reggio Emilia – osservando che la denuncia non «rappresenta in alcun modo la realtà dei fatti e che la nostra attenzione è sempre stata rivolta alla costruzione di un ambiente di lavoro fondato sul rispetto reciproco». Ma dopo la discussione in consiglio comunale, che ha votato a favore del progetto, il sindaco ha ricevuto una delegazione delle lavoratrici che hanno scioperato, senza poi sentire la voce dell’azienda. Alla quale, a quel punto, l’incontro è parso un endorsement a una protesta che seppure non unanime può macchiare la reputazione della storica multinazionale.

«Il Polo della moda è un progetto separato dalla vertenza – dice ora il segretario della Cgil di Reggio Emilia, Cristian Sesena – e non abbiamo mai chiesto che l’investimento venisse subordinato a un percorso sindacale ma solo che non finisse nel dimenticatoio il tema delle condizioni di lavoro».Quanto al Comune, tutti ricordano che è prassi del sindaco ricevere lavoratori che protestano per ottenere migliori condizioni. Ora infatti riceverà anche una delegazione delle lavoratrici che hanno smentito le colleghe.

Il dibattito in città

La questione infiamma la città. Anche perché di mezzo ci sono nuovi posti di lavoro. «Circa 900», dicono dall’azienda. E anche se i numeri sono ridimensionati dalla Cgil – secondo la quale nel nuovo centro sarebbero stati convogliati anche gli attuali addetti alla logistica – tutti ritengono che per il Polo della moda non debba esserci lo stop. A partire dalla segretaria della Cisl Emilia Centrale, Rosamaria Papaleo: «Ora serve andare oltre le barricate». Tutto è fermo: Max Mara (che ha un valore della produzione di quasi 2 miliardi) non procederà all’acquisizione dell’area. Dove, grazie al progetto, erano previste anche aree verdi, parcheggi, piste ciclopedonali.

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