Meno tech e più utility
Per la parte azionaria del portafoglio, il suggerimento di Galli per affrontare uno scenario ignoto è la diversificazione: «Ridurrei la concentrazione nelle azioni Usa, mantenendole al 40-45% del portafoglio (rispetto al 71% dell’indice Msci World). Contestualmente, aumenterei l’esposizione verso l’Europa e i Paesi emergenti, che hanno valutazioni più interessanti». Un rallentamento economico penalizzerebbe soprattutto i titoli con valutazioni che sono giustificate se la crescita degli utili resta robusta e continua. «Diminuirei – continua Galli – il peso di questi titoli e, in generale, dei settori più vulnerabili ai dazi e alle tensioni commerciali, come consumi discrezionali, auto, lusso, tecnologia ad alta valutazione. Privilegerei, invece, settori più difensivi, come beni di consumo di prima necessità, infrastrutture e utility, in particolare le società con profitti e flussi di cassa significativi e stabili».
I tempi del dollaro
La scelta di esporsi alle oscillazioni del dollaro dipende dagli obiettivi e dai tempi dell’investimento: «In un’ottica di lungo periodo – conclude Galli – la debolezza del dollaro può non essere un problema. Se l’investimento in dollari deve finanziare una spesa futura in una divisa diversa è opportuno coprire il rischio di cambio, per garantirsi la copertura, sempre valutando l’onere. Se, invece, l’investimento è inserito in un portafoglio con obiettivo di crescita nel lungo periodo, la copertura del rischio di cambio non è necessaria, alla luce delle fluttuazioni del cambio nel lungo periodo e del costo dell’operazione».
No Treasury, no rischio
Linda Leodari, consulente autonoma, preferisce non inserire Treasury nei portafogli dei suoi clienti, perché sono volatili ed espongono al rischio dollaro. Il suo approccio globale alla parte azionaria, invece, implica necessariamente un’esposizione alla Borsa Usa.
«Nella mia strategia di investimento – spiega Leodari – considero i Treasury troppo sensibili alla volatilità per via delle scadenze lunghe. In aggiunta, una possibile ulteriore svalutazione del dollaro, può impattare anche molto negativamente sul loro rendimento. Perciò, non li considero come strumenti nei quali investire, nemmeno con copertura valutaria. In genere nella parte obbligazionaria prudente dei portafogli di lungo termine prediligo titoli di Stato europei, con scadenze indicativamente tra 4-6 anni. Preferisco, piuttosto, assumere rischio nell’azionario o nell’obbligazionario high yield (ad alto rendimento, ndr), dove i ritorni sono potenzialmente più elevati».
A Wall Street la sua parte
La strategia azionaria di Leodari segue un approccio geografico globale e, dunque, una buona fetta del portafoglio è investita sulle società Usa, con un occhio di riguardo per la tecnologia, che muove il mondo: «Per la parte azionaria dei portafogli di lungo termine utilizzo un approccio geografico basato sull’indice Msci All Country World, nel quale confermo il peso elevato degli Stati Uniti. La parte dedicata a strumenti settoriali è limitata, con preferenza sulla tecnologia. Ritengo, infatti, che il motore di crescita e di sviluppo tecnologico sia ancora negli Stati Uniti. Al massimo, posso sovrappesare di poco l’Europa, considerato il recente cambio di prospettiva verso la possibilità di un maggior debito, seppure destinato prevalentemente alla difesa. In Europa, però, non vedo ancora un significativo cambiamento verso un debito comune e un mercato unico dei capitali e vi sono costosi limiti all’espansione imposti da una burocrazia elefantiaca».