Un inizio d’anno complicato – come, peraltro, da attese – con un calo dell’export a 5,5% a 6,2 miliardi nei primi due mesi, accentuato verso i mercati extra europei (-9,3%), e una richiesta della cassa integrazione guadagni in forte crescita: tra gennaio e marzo sono state autorizzate 13, 1 milioni di ore, il 20,4% in più rispetto allo stesso periodo del 2024. Un anno che aveva già registrato importanti richieste di ammortizzatori sociali da parte delle aziende della filiera in crisi.
I dati, forniti dall’Ufficio Studi di Confindustria Moda, confermano una situazione di crisi per le 40mila aziende del comparto tessile-abbigliamento italiano che sono riunite nell’associazione. Di cui otto su 10 si aspettano di chiudere il primo semestre con ricavi stabili o in calo rispetto all’anno scorso. «Ci sono quattro fattori che influenzano negativamente il nostro comparto: i dazi, sebbene l’effetto sia ancora indiretto; l’incertezza che frena gli investimenti; il costo dell’energia che pesa soprattutto sul tessile; la dimensionalità delle nostre imprese che sono piccole. Stiamo lavorando a stretto contatto con il governo, ma è fondamentale, ora più che mai, che le istituzioni accompagnino questi sforzi con politiche industriali mirate e tempestive».
Sburlati, in carica dal 19 maggio per il quadriennio 2025-29, sottolinea la differenza tra «reagire a un accadimento, quello che le imprese italiane hanno dimostrato di saper fare bene in risposta a eventi come il Covid, e pianificare un’azione di lungo periodo che possa tutelare e rafforzare la filiera made in Italy «la seconda più importante per vendite all’estero dopo quella meccanica. Bisogna permettere alle imprese di investire nella transizione digitale e sostenibile e per farlo serve l’accesso a capitali. Penso, per esempio, a una serie di incentivi fiscali per spingere fondi pensione o di investimento a scommettere sulla filiera italiana della moda che è fatta di molte piccole aziende».
In questo momento, secondo Sburlati, ceo del Gruppo Pattern che si occupa di prototipia e produzione per i brand del lusso, «il made in Italy è sotto attacco, un attacco strutturale. Dobbiamo frenare gli episodi di illegalità e la cattiva comunicazione: ci sono state campagne di video su TikTok che lasciavano credere che prodotti fatti in Italia fossero fatti in Cina. Ribaltiamo la situazione». Il riferimento è ai recenti episodi che tra il 2024 e il 2024 hanno portato la Procura di Milano a mettere in amministrazione giudiziaria brand come Armani, Dior e Valentino, da cui è conseguito un Protocollo per la legalità nella filiera della moda siglato lo scorso 26 maggio presso la Prefettura di Milano. Il prossimo passo sarà l’avvio di un l tavolo tecnico che avrà il compito di creare la piattaforma che profilerà le aziende aderenti (in via volontaria). «Dentro il Piano Moda a cui il governo sta lavorando ci deve essere il tema della legalità e auspico che il Protocollo lombardo possa essere un esempio su cui costruire una normativa nazionale. Intanto se tutti applicassero i contratti nazionali sarebbe un passo avanti per garantire salari dignitosi».
Tra gli altri progetti concreti su cui Confindustria Moda sta lavorando Sburlati cita «l’unificazione dei centri tecnologici nazionali in un unico soggetto» ed è importante creare «un protocollo per un auditing comune, così da non fermare le aziende per giorni».