Ama l’Italia e spera di esplorarla a fondo in futuro; conserva il ricordo di un viaggio col marito a Positano e sta pregustando un cammino nelle Dolomiti che farà in estate, seguito da un soggiorno sulla Costiera Amalfitana. Michelle Gass, presidente e ceo di Levi’s, è di passaggio a Milano per visitare i negozi monomarca, i partner di multimarca e department store e per aggiornarsi sulla scena retail della città, in costante evoluzione, forse ancora più di quella di Parigi, dove il marchio americano ha aperto nel 2024 un grande negozio sugli Champs-Élysees con un format innovativo che, chissà, potrebbe essere replicato in Italia.
Innamorata del nostro Paese, ma forse ancora di più del suo lavoro, Michelle Gass è a capo di una delle più grandi aziende americane di abbigliamento: dopo oltre 30 anni ai vertici di società e catene del largo consumo, da Kohl’s a Starbucks, la manager è entrata in Levi’s nel 2023 come presidente e dalla fine di gennaio 2024 è anche chief executive officer.
Come riassumerebbe questi 18 mesi alla guida di Levi’s?
«Prima di tutto ci tengo a sottolineare di aver avuto un grande privilegio: passare i primi mesi in azienda lavorando fianco a fianco con l’allora ceo, Chip Bergh, che ha lasciato il suo incarico alla fine di aprile 2024, restando però consulente e… mio consigliere, perché è legato profondamente al marchio, al mondo del denim e a tutte le persone che hanno lavorato con lui. Ho imparato tantissimo da Chip e grazie a quei mesi di collaborazione e condivisione sui punti chiave della cultura aziendale, ma anche sui progetti per il futuro, ho sentito di avere basi molto solide per far evolvere, e in parte cambiare, Levi’s».
Da dove è partita per avviare questa evoluzione?
«Abbiamo razionalizzato le collezioni, in particolare quelle dei jeans, a partire dal 501, perché negli anni le Sku (acronimo di stock keeping unit, il codice alfanumerico che identifica ogni singolo prodotto di un’azienda, ndr) si erano moltiplicate e in alcuni casi, persino all’interno dello stesso mercato o area geografica, si erano sovrapposte. È una di quelle operazioni in cui la tecnologia aiuta tantissimo, come fa in generale per la gestione dei magazzini e per la logistica. Poi abbiamo venduto Dockers, uno dei marchi del portafoglio: non è stata una decisione presa a cuor leggero, perché il marchio faceva parte del gruppo da molto tempo. Diciamo che Dockers, forse il più famoso brand al mondo di pantaloni khaki, è in buone mani (sorride): ad acquisirlo (per oltre 310 milioni di dollari, ndr) è stato il gruppo Authentic Brands, il cui fondatore, presidente e ceo, Jamie Salter, ha spiegato nel maggio scorso, quando abbiamo annunciato l’operazione, che «Dockers si inserisce perfettamente nel modello di Authentic Brands».
Si può dire che ora ci sono più risorse ed energie da dedicare agli altri brand?
«Il processo, come ho detto, era iniziato mesi prima: abbiamo la più elevata fetta di mercato dei jeans a livello globale e continueremo a investire nel marchio Levi’s, puntando in particolare sulle collezioni da donna e le collaborazioni: l’obiettivo è farne 10-12 all’anno, ma che siano davvero sorprendenti, sia per i nomi ai quali ci leghiamo sia per i prodotti. Poi c’è il marchio Beyond Yoga, che ha grandissime potenzialità e sul quale investiremo molto. Preferiamo invece lasciare un altro settore, l’athleisure, per quanto promettente, ad altre aziende. C’è inoltre la parte di abbigliamento junior, che è in licenza, perché si tratta davvero di un altro business rispetto all’adulto. Ma sicuramente possiamo trovare anche lì maggiori sinergie e opportunità».