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Notiziario

L’Italia dell’auto si gioca con l’America di Trump una partita che vale più di quattro miliardi e mezzo di esportazioni, tra auto e componentistica, e una bilancia commerciale positiva per 3,2 miliardi. Certo, rispetto agli oltre 30 miliardi della Germania, potrebbero sembrare poca cosa. Ma resta il fatto che gli Usa sono il primo mercato per le auto fatte in Italia – 27% di quota, generando un saldo positivo a fronte di una bilancia commerciale negativa per 20,2 miliardi – e la prima area di destinazione extra Ue per i componenti. Il punto però è che i dazi annunciati dall’amministrazione Trump avranno effetti sulle diverse catene di fornitura, incrociate più che mai, a cavallo tra Italia e Germania, oltre che tra Europa, Messico e Canada.

Un colpo all’Europa dell’auto

L’Acea (produttori auto europei) chiede l’immediata apertura di un dialogo con gli Stati Uniti per evitare «una guerra commerciale». Nella nota diffusa ieri mattina mette in risalto due aspetti. «Le case automobilistiche europee investono negli Stati Uniti da decenni, creando posti di lavoro, promuovendo la crescita economica nelle comunità locali e generando enormi entrate fiscali per il governo degli Stati Uniti» ha sottolineato il direttore generale Sigrid de Vries. Inoltre, dicono i produttori europe, i dazi genereranno «un impatto negativo non solo sulle case automobilistiche globali, ma anche sulla produzione nazionale degli Stati Uniti».

Sono molto dure le parole di Matthias Zink, a capo di Clepa, la sigla che riunisce le aziende della filiera auto europee. «Queste tariffe protezionistiche rischiano di rompere una partnership commerciale costruita nel corso di decenni, che supporta migliaia di aziende e migliaia di posti di lavoro in Europa e Nord America. Dazi di questa portata interromperanno il flusso di merci, aumenteranno i costi di produzione e, in ultima analisi, renderanno le auto più costose per i consumatori».

La filiera italiana

«L’impatto sulla filiera italiana è importante perché oltre a esportare componenti per oltre 1,2 miliardi – spiega Gianmarco Giorda, direttore dell’Anfia – dobbiamo considerare le nostre aziende che vendono a costruttori tedeschi, che a loro volta producono in Europa e che saranno colpiti dai dazi. Terzo aspetto è che molte aziende della componentistica hanno investito soprattutto in Messico (tra loro ci sono Brembo, Pirelli, Eurogroup Laminations, Proma, Ask Group , ndr), con plant produttivi in grado di soddisfare la domanda locale, anche queste potrebbero essere indirettamente colpite dai dazi imposti da Trump».

Alla partita economica delle esportazioni dirette verso gli Usa, dunque, va aggiunto almeno un miliardo di euro di esportazioni verso il Messico, valore quasi raddoppiato in due anni. Un ulteriore accento va messo sulla forte interconnessione che c’è tra le filiere italiane e l’industria tedesca dell’auto: la Germania è il paese da cui importiamo e a cui esportiamo più componentistica automotive, rispettivamente il 24,4% ed il 19,9%.

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